Troppi 'esperti' impazzano sui social Società

“Le Metamorfosi” è il titolo di un poema in latino composto da Ovidio, che raccoglie una serie di miti classici, molti dei quali hanno a che fare con esseri umani tramutati in animali. “La Metamorfosi” è invece un racconto in cui lo scrittore ceco Kafka narra la surreale vicenda di un commesso viaggiatore che un mattino si risveglia tramutato in uno scarafaggio gigante.

Ma senza scomodare questi letterati del passato, anche oggi possiamo assistere a diverse metamorfosi che colpiscono l’uomo comune. Una di esse, ben nota ai più, è quella che avviene quando un individuo si siede al volante della propria auto e da cittadino osservante delle regole del vivere civile si tramuta in pirata della strada. Un’altra coinvolge ogni anno, soprattutto di domenica, migliaia di persone quando entrano in uno stadio e si trasformano in tifosi esagitati, pronti a inveire ed a scagliare insulti razzisti, sessisti e omofobi contro i propri avversari.

Ma la metamorfosi su cui voglio soffermarmi quest’oggi è quella che riguarda gli utenti dei social, che dinanzi alla tastiera dei loro computer, tablet o smartphone passano da individui con un livello d’istruzione medio (spesso anche meno che medio) ad esperti tuttologi, sommi conoscitori di ogni ambito dello scibile umano.

È un fenomeno che molti conoscono da tempo e che, in era preinformatica, si verificava soprattutto nei bar il lunedì mattina: ciascun tifoso vantava conoscenze di strategia calcistica e si dichiarava certo che, con lui in panchina, la sua squadra del cuore sarebbe divenuta imbattibile, in grado di sbaragliare tutti gli avversari in ambito nazionale o internazionale.

Grazie ad internet, che permette a chiunque di salire su un pulpito, come nel celebre speakers‘ corner dell‘Hyde Park di Londra, una folla di Pico de Paperis è trasmigrata dai bar sport ai social network e non manca di comunicare la sua opinione al prossimo su qualsiasi argomento.

Così, su Facebook abbiamo migliaia, se non milioni, di esperti di calcio; altrettanti criminologi pronti a dare pareri sui più efferati delitti (o almeno su quelli che hanno suscitato il maggior clamore mediatico); scienziati con teorie illuminanti sulla pericolosità dei vaccini o su quanto sia contro natura che gli esseri umani si nutrano di carne e latticini; sostenitori delle teorie del complotto pronti a giurare di avere le prove che una longa manus manovra di nascosto i potenti di tutto il mondo; politologi ed economisti in grado di snocciolare analisi approfondite su quali saranno le conseguenze della Brexit e chi più ne ha più ne metta.

Da dove venga tutta quest’esplosione di cultura specialistica, rimane un mistero. Forse costoro hanno subito l’influenza dei talk show, dove esperti opinionisti abbondano come il prezzemolo, e si sono fatti l’idea che, in fin dei conti, non è poi così difficile avere un parere su qualsiasi argomento. Dopotutto, oggigiorno chiunque può diventare un esperto, basta usare Google e Wikipedia, il sapere è alla portata di tutti.

In un’epoca in cui i talent show trasformano l’uomo della strada in divo da un giorno all’altro, perché non potrebbe avvenire la stessa cosa anche per la cultura generale? In fondo, il messaggio dei programmi televisivi di questo tipo è: non occorre avere talento e sgobbare per anni, basta sapersi accattivare il favore del pubblico per diventare una celebrità. Se questa regola vale per cantanti, attori, cuochi e ballerine, non potrebbe essere valida anche per diventare economisti, scienziati, storici o filosofi?

Chi di noi non conosce qualcuno che, pur non avendo studiato Medicina, si ritiene un esperto perché ha cercato su Google tutte le malattie di cui parlano i programmi tv? E che invita a non fidarsi dei dottori, che prescrivono medicine inutili solo perché foraggiati dalle multinazionali farmaceutiche? Immagino che non siano molti coloro i quali preferirebbero affidarsi ad un amico del genere piuttosto che ad un medico. Teniamolo a mente anche quando leggiamo le opinioni dei sapientoni sui social, perché in certi ambiti le credenziali ed i titoli di studio contano ancora più del televoto.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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