Vaccino sì, vaccino no Società

Il ministro della salute, Livia Turco, ha annunciato il varo ufficiale, a marzo, della campagna di vaccinazione anti hpv (human papilloma virus) per la prevenzione del tumore al collo dell'utero, circoscrivendo per ora l'offerta della vaccinazione gratuita alle sole ragazze di 12 anni.

Per il servizio sanitario, calcolando che non si vaccineranno tutte le 280 mila 12enni, il ministero stima una spesa annua di 75 milioni di euro, cui vanno aggiunti i costi di una strategia nazionale che al momento non c'è.

Scelta sostenibile per il nostro servizio pubblico che potrebbe essere sfruttata anche meglio se si studiasse come ottimizzare il sistema d'acquisto e di distribuzione tra il produttore, le regioni e le Asl.

Quali i costi per le tre dosi del vaccino? 564 euro in farmacia e 376 ai servizi pubblici. Le giovani donne non rientranti nella fascia d'esenzione delle 12enni se lo devono pagare. Ci viene di pensare ad un padre, famiglia monoreddito, due figlie, 15 e 14 anni.

Ed è solo per una questione di budget, e non perché a quest'età il vaccino non sia efficace, che non s'è voluto considerare una finestra almeno fino ai 15 anni, età media dell'attività sessuale delle ragazze in Italia.

Lo schema vaccinale prevede tre dosi nell'arco di sei mesi e con ogni probabilità dei richiami, anche se gli studi clinici, su cui si basa il vaccino, condotti su circa 12 mila donne dai 16 ai 26 anni, più 9 mila del gruppo di controllo, seguite per 5 anni (quel che i medici definiscono follow-up), hanno evidenziato che i livelli di anticorpi, e quindi la conseguente protezione, non si abbassano. Il vaccino, è bene ricordarlo, non cura il cancro, ma impedisce al virus di infettare l'organismo. Ed è per questo motivo che la vaccinazione è indicata alle ragazze che ancora non hanno iniziato l'attività sessuale. L'infezione da Hpv è molto diffusa ed è stato calcolato che oltre il 75 per cento delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita con uno dei virus Hpv, e oltre il 50 per cento con uno di quelli ad alto rischio (ceppi 16 e 18).

L'unica arma finora dimostratasi efficace per la prevenzione di questo tumore è il Pap-test e, che sia o non sia efficace il vaccino, resta una priorità. In Italia, nonostante l'indicazione nazionale affinché tutte le donne comprese fra i 25 e i 64 anni lo facciano ogni tre anni - l'esecuzione è gratuita -, l'adesione è bassa: dal 46 per cento al Nord al 24 per cento al Sud. La Finlandia, dove il Pap-test è diffuso al 90 per cento e riduce dell'85 per cento il tumore al collo dell'utero, ha deciso di condurre uno studio su adolescenti volontarie. Solo alla fine del 2020, in base ai dati su efficacia e durata della protezione, deciderà se introdurre la vaccinazione.

In Italia si registrano una media di 3400 casi l'anno di tumore della cervice uterina, con una stima di 1000 decessi, e ora che il vaccino è entrato in commercio, all'entusiasmo iniziale qualche esitazione inizia a farsi strada anche tra gli esperti.

Ancora non si è in grado di fornire risposte univoche su alcuni punti: non si sa con sicurezza quale sarà la durata d'efficacia del vaccino, se occorrerà ripeterlo nel corso della vita o no, se è conveniente e possibile sottoporre alla vaccinazione non solo le donne, ma anche gli uomini (che sono i portatori del virus) oppure se sarà opportuno offrire la vaccinazione anche alle ragazze che hanno già iniziato l'attività sessuale o addirittura a quelle che risultano positive ad uno dei tanti ceppi del virus dell'Hpv, senza contare che il contrasto ai ceppi virali del vaccino può favorire la selezione degli altri ceppi che oggi rivestono un ruolo secondario.

D'altra parte, come ogni innovazione in tema di farmaci e vaccini, soltanto nei prossimi anni, quando ci sarà stata la possibilità di studiare e monitorare ampi gruppi di donne vaccinate, probabilmente si troverà la risposta ai quesiti sopra posti. Ma da una prima approssimativa valutazione costi-benefici dal punto di vista esclusivamente economico vale la pena sottolineare che il Ssn spende per patologie inerenti all'Hpv tra i 200 e i 230 milioni di euro l'anno. Quello poi che non dobbiamo dimenticare è che si sta parlando di un vaccino contro il cancro, non una generica malattia. Ogni nuova cura è accolta con speranza: come si fa a non investire su un mezzo che può addirittura prevenire il cancro? Se pensiamo al risparmio in termini di dolore fisico e psicologico, di quanto vada ad incidere sulla vita affettiva e lavorativa delle donne, il piatto della bilancia pende decisamente a favore della prevenzione e di conseguenza del vaccino che, pur fra mille dubbi, è in ogni caso in grado di ridurre drasticamente l'incidenza dei tumori e conseguentemente della sofferenza umana.

GIANCARLO SCARAMUZZO