Il triste addio dell'Atletico Brigante Sport

L’Atletico Brigante ai saluti, la società ha deciso di non partecipare al prossimo torneo di Terza categoria.                        

L’Associazione Sportiva Dilettantistica dell’Atletico Brigante era nata a Benevento, dall'idea di giovani menti, stanche della logica convenzionale del calcio moderno, per dare un calcio al razzismo e alle discriminazioni. Una squadra di calcio come simbolo di unione e integrazione.

Stiamo parlando di calcio che aggrega, che unisce, che spezza i legami con ogni retorica del business e del guadagno. Un’idea straordinaria diventata realtà e scaturita dalla passione e dall’ostinazione di un piccolo gruppo di amici. E’ nato così l’ASD Atletico Brigante che, nel panorama sportivo sannita, era il primo progetto di calcio popolare, animato da un sentimento di repulsione e indignazione nei confronti del sistema calcistico tradizionale che basa la sua ragion d’essere unicamente sul profitto.

Oltretutto, dopo pochi mesi di attività, grazie all’aggregazione creata tramite il calcio, questa realtà ha dato vita ad una scuola di italiano per stranieri, “OLTRE CONFINE”, corsi d’italiano per migranti totalmente gratuiti ed autogestiti rivolti a tutti, un progetto per favorire l’interazione e contrastare gli episodi di razzismo e marginalizzazione.

Ebbene dopo due anni la squadra beneventana non si iscriverà al campionato Figc. Ecco il comunicato della società  dove sono riportati i motivi che hanno scaturito questa drastica decisione:                        

“Proviamo a spiegare brevemente - si legge nella nota diffusa alla stampa - i motivi di questa scelta. Per partecipare al campionato di terza categoria ci vogliono migliaia di euro (compresi quelli per il canone d’affitto mensile del campo, vista l’impossibilità di averlo gratis in città). Racimolarli tutti in tempo per una realtà come la nostra, totalmente autogestita e autofinanziata, è impresa ardua, nonostante il grande sostegno che abbiamo intorno.

Il motivo principale non è quello economico. In due anni la cosa più bella è sicuramente stata il rapporto che abbiamo creato con tantissimi richiedenti asilo presenti sul nostro territorio e l’interazione che si è creata con le persone su ogni campo in cui andavamo. La nostra comunità meticcia è cresciuta sempre di più. Oggi giocano e si allenano con noi decine di migranti, la maggior parte dei quali, secondo le norme discriminatorie della Figc non avrebbe potuto giocare con noi, almeno non dall’inizio del campionato.     

Abbiamo provato a chiedere una deroga sul loro tesseramento, in base anche ad altre esperienze esistenti in Italia (per esempio la Liberi Nantes di Roma), ma non ci è stata concessa, un po’ per ignoranza e un po’ per indifferenza. A noi non va più di vedere ragazzi che si allenano tutta la settimana, puntualmente sugli spalti ogni partita perché non possono giocare, in attesa che sia espletato tutto l’iter burocratico per il loro tesseramento.

Per un italiano basta un documento di riconoscimento e il codice fiscale per essere tesserato. Basta inserire il tutto per via telematica e in 24 ore il tesseramento è fatto. Per un migrante il primo tesseramento invece deve passare per Roma a cui bisogna spedire: Certificato di residenza anagrafica, permesso di soggiorno con scadenza non inferiore al Gennaio 2017, dichiarazione di non aver mai giocato in una squadra nel proprio paese.                    

In un contesto di precarietà diffusa, di gestione affaristica dell’accoglienza, di razzismo di stato, mediatico e di strada, essere in possesso di questi requisiti non è semplice. Quindi puntualmente ci siamo trovati con una squadra forzatamente dimezzata. Nonostante le molte campagne fatte, per il momento i passi in avanti sono stati pochi e le regole rimangono queste ultradiscriminatorie. Insomma a noi non va davvero più di fare i salti mortali per poter partecipare ad una competizione del genere.

Abbiamo sempre saputo con chi avevamo a che fare ma abbiamo provato ad ingoiare il rospo cercando di praticare un’anomalia dall’interno, ad alimentare una contraddizione … Ma quando non riesci a praticare una rottura che possa far cambiare le cose è anche giusto ragionare, provando a tornare sui tuoi passi e trovare nuove soluzioni.                                                              

Noi non vogliamo più spiegare ad un nostro fratello che non può giocare perché non ha un documento o perché per lui ci vogliono tempi infinitamente più lunghi per essere tesserato. Ci siamo stancati di essere compatibili ad un’idea di vita e di sport che non ci ha mai rappresentato. Non ce la sentiamo più di far parte di questo gioco. Continueremo a giocare a calcio ovviamente perché amiamo questo sport e perché è davvero uno strumento formidabile per stare insieme abbattendo frontiere e pregiudizi. Lo faremo allenandoci ogni settimana e provando a costruire un altro campionato con chi vorrà praticare questa nuova strada con noi (a tal proposito stiamo parlando con la Uisp e invitiamo chiunque sia interessato a partecipare ad un campionato amatoriale di contattarci perché tra poco ne vedrete delle belle).

Ci teniamo a ringraziare tutte le persone che hanno partecipato alla campagna di autofinanziamento. Presto faremo una festa con una presentazione delle cose che faremo. Quei soldi serviranno a finanziare le molteplici attività che metteremo in campo. Abbiate fiducia ancora in noi, contattateci, unitevi a no”.  

In bocca al lupo briganti e non mollate, portate avanti questo progetto e questa  squadra. La squadra di quei sognatori, di quei ribelli, di quei delusi che ritengono che un altro calcio sia possibile, ma soprattutto che un altro mondo sia necessario.                                                                                       

Viva il calcio popolare. Viva l'Atletico Brigante.                                 

NELLO MARRA

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