Agrivoltaico e salvaguardia dell'ambiente: il caso di Amorosi Ambiente

Tra le priorità dell’Unione Europea, come riportano gli organi ufficiali, troviamo il tema della transizione energetica. Si tratta di un tema particolarmente discusso, inserito in quella serie di ‘norme verdi’ dell’UE, sicuramente non privato da discussioni ideologiche da parte dei partiti politici in questo periodo di elezioni. La transizione energetica, come sappiamo, consiste nella sostituzione delle fonti energetiche ad alta impronta carbonica verso quei tipi di energie rinnovabili con basse emissioni, ma questo tipo di energia può generare accesi dibattiti che riguardano le modalità di applicazione e il suo potenziale impatto ambientale: è il caso di Amorosi.

Come denuncia il Club di Benevento degli Amici della Terra, ad Amorosi (BN) sarebbe previsto un impianto agrivoltaico di potenza pari a 28,33 Mw e le relative opere di connessione alla Rete Elettrica di Trasmissione Nazionale (Rtn). Ad essere interessata è circa un’area di 50 ettari che secondo l’associazione, sarà sottratta all’agricoltura e alla biodiversità. Nella nota stampa inoltre, gli “Amici della Terra” citano uno studio americano del National Fish and Wildlife Forensics che mette in rilievo l’incompatibilità di queste soluzioni energetiche con la salvaguardia dell’ambiente, sostenendo che questo tipo di impianti non provocherebbe altro che la perdita della biodiversità, determinando un vasto ridimensionamento della flora e della fauna. Questa situazione che interessa un comune del beneventano genera una domanda fondamentale: L’implicazione di energia rinnovabile, come in questo caso in scala medio-grande, può essere veramente detta ‘sostenibile’?

È chiaro che parlando di energia rinnovabile, si discute su un tema relativamente nuovo, una questione che solo negli ultimi 20 anni si è posta con concretezza. Pertanto, sulla compatibilità tra salvaguardia dell’ambiente e produzione di energia pulita possiamo ammettere che potrebbero esserci nuovi studi e sviluppi su un tema che è di fatto recente, considerando soprattutto l’avanzare veloce delle nuove tecnologie in questo campo. Ad esempio l’applicazione dei primi prototipi di agrivoltaici, sistemi di pannelli solari sostenuti da pali posti nel terreno che comunque consentono l’utilizzo della superfice agricola, risale ad appena al 2008 presso un’azienda agricola ad Isola della Scala, in provincia di Verona; tale sistema rappresenta un’evoluzione del fotovoltaico posto a terra, che certamente non consente l’uso del terreno, anzi in molti casi è richiesta un’impermeabilizzazione.

Per quanto concerne la salvaguardia dell’ambiente, considerando l’agrivoltaico, numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della sua applicazione. Lo studio tedesco “Solarparks, Gewinne für die Biodiversitätnel 2019 aveva dimostrato grandi benefici dell’utilizzo dell’agrivoltaico, in quanto andrebbe di fatto a proteggere gli insetti e altre specie di animali, favorendo la vegetazione, nonché la fertilità del terreno. La compatibilità tra biodiversità e fotovoltaico è stata anche dimostrata dal progetto dell’Apiario Solare, iniziativa compiuta in Spagna da Enel Green Power presso il parco fotovoltaico di Las Corchas a Carmona, località poco distante da Siviglia, dove sono stati istallati alveari hi-tech, utilizzando le moderne tecnologie dell’apicoltura e della produzione di energia pulita. Un progetto analogo a quest’ultimo è l’“Uliveto Agrivoltaico del Lazio” che sta nascendo nel viterbese, ad opera della società Ski 16 S.r.l., tra Cellere e Piansano, un sito che si occuperà di produrre energia elettrica pulita, garantendo le attività agricole e il fabbisogno energetico di quest’ultime. I pannelli solari, grazie alle loro peculiarità tecnologiche e fisiche, permetteranno di ridurre il fabbisogno idrico e lo stress termico grazie all’ombreggiatura da loro offerta.

Per quanto riguarda invece il progetto fotovoltaico di Amorosi e l’opposizione da parte del Club di Benevento degli Amici della Terra, sarebbe opportuno ricordare gli esiti positivi dei progetti già elencati, sostenendo la possibile compatibilità tra biodiversità e produzione di energia pulita. Ma forse è ancora più doveroso mettere in luce un altro aspetto che coinvolge il progetto, quello riguardante la sua radicalità. È chiaro che se saranno 50 ettari coinvolti nell’istallazione, sarà una vastissima area adibita alla produzione di energia pulita che sicuramente trasfigurerà il paesaggio di Amorosi e comprensibilmente incontrerà alcune resistenze. Si determinerà uno ‘shock culturale’, così come venne definito dall’antropologo canadese Kalervo Oberg, che influenzerà la comprensione del progetto da parte degli attori locali.

Appurata la necessità di istallazioni di questo tipo nel nostro territorio per un immediato futuro, facendo fronte al fabbisogno energetico, sarebbe opportuno valutare bene non solo la sostenibilità in termini meramente economici e ambientali ma anche quel tipo di sostenibilità derivante dalla comunità interessata. Sarebbe necessario valutare il cambiamento radicale che progetti di questo tipo hanno in sé e interrogare gli attori locali, preferendo un modello progettuale frutto della cooperazione di imprese, cittadini ed enti locali. Un modello così costruttivo non solo potrebbe valorizzare il progetto stesso ma anche dar vita ad altri programmi futuri similari, avviando una vera e propria transizione non solo strettamente energetica.

ANDREA ALBANESE