Dal silenzio assenso al ghosting: alla Gen Z manca il coraggio di dire ''fine'' Cronaca

A furia di sentirci dire di “non ribattere”, di tradurre il silenzio con l’accettazione, ne abbiamo ricavato una generazione di codardi, incapaci di chiudere rapporti, ma neanche in grado di mantenerli. Così la pratica del ghosting si fa sempre più frequente e, ancora una volta merito dei social, più facile da alimentare. Il termine inglese indica la tendenza ad interrompere una relazione affettiva in maniera improvvisa o graduale semplicemente scomparendo, divenendo fantasmi, da cui il termine deriva. Due spunte su Whatsapp, un “visualizzato adesso” su Instagram, un “visto” su Tik Tok: metodi alternativi e esemplificativi del processo di ghosting che si mette in atto scomparendo dalla vita dell’altro, senza fornire motivazioni, lasciandogli, per questo, una serie di domande irrisolte.

Nel gennaio del 2023 è stata condotta una ricerca dal titolo “from close to ghost” nelle relazioni, pubblicata da Sage Journal, da cui è emerso che il 74% degli intervistati reputa adeguato mettere fine ad una relazione con il ghosting. Un atteggiamento considerato sinonimo di vigliaccheria, che spesso, da coloro che commettono ghosting, viene decantato come un comportamento nobile: il 16% afferma che è apparso come il metodo migliore per non ferire l’altro in fase di rifiuto, il 18% ha una motivazione meno egoistica, ossia la paura di una reazione drammatica da parte dell’altra persona. In entrambi i casi, è necessario sottolineare come il ghosting non sia mai una pratica adeguata a concludere un rapporto: seppure apparentemente inoffensivo, il ghosting attiva dei riflessi psicologici negativi in chi lo subisce, che vive un vero e proprio rifiuto sociale, amplificando gli stati emotivi ansiogeni rispetto a chi ha il pregio di sentirsi dire che un rapporto è giunto al termine.

Incapaci di semplificare, i membri della Generazione Z sono bravissimi a complicare il rapporto con le emozioni proprie e degli altri: il ghosting è un’ottima scappatoia dai problemi, nell’illusione che, evitandoli, essi si esauriscano da soli. Tuttavia, non ricevere più risposta, subire un immotivato mutamento di comportamento, porta la vittima ad interrogarsi sul cattivo atteggiamento tale da non meritare l’educazione di una spiegazione. Essere ghostati mette il soggetto in una condizione di sofferenza perpetua: la letteratura in materia conferma la preferenza di dolore derivante da una certezza che ferisce rispetto allo stress di un’incertezza logorante. La mancanza di una conclusione è disturbante per il cervello umano, che sintetizza le esperienze valutandole in base ai momenti più rilevanti e al loro termine, per via del bias della memoria peak-end rule. Daniel Kahneman, tra gli psicologi più celebri dei tempi attuali, nel 1993 ha compiuto un esperimento su un gruppo di individui, invitandoli a immergere una mano nell’acqua gelida prima per sessanta secondi, poi per novanta. Durante la seconda immersione, l’acqua si fa gradualmente meno fredda, ciò attutisce il dolore. I partecipanti espressero una preferenza verso la seconda immersione, seppur più lunga della prima: la durata della sofferenza è meno importante della fine stessa.

La fine di qualcosa è sempre l’inizio di qualcos’altro: una presa di coscienza fatta di valutazioni conclusive che divengono il trampolino per prendere decisioni di risposta. La mancanza della conclusione suscita ansia e i social hanno acuito la facilità con cui nascondersi; togliere le spunte blu, cancellare il numero, bloccare il contatto sono le modalità per sparire, figlie di una logica ancora più perversa, in cui i rapporti umani si arrendono ad una logica consumistica. Difatti, la diffusione dell’app dating in cui le persone vengono scartate e approvate con un movimento del dito, incoraggia una cultura dell’usa e getta, fatta di individui che si sentono sempre meno in dovere di giustificare i loro comportamenti. La deresponsabilizzazione è l’esito massimo di questa pratica, data dal profilarsi dell’egoismo che è insito nella società del successo a cui siamo abituati. Eppure, c’è una strada diversa, invece di diventare fantasmi del passato, si può avere il coraggio della chiarezza, perché l’inchiostro per una nuova storia ha bisogno di un foglio bianco per non diventare scarabocchio.

TERESA PEDICINI