Diffamazione a mezzo stampa. Deciso no dei giornalisti a carcere e sanzioni pecuniarie Cronaca

Per la prima volta nella storia dell’Ordine dei giornalisti, con il presidente Carlo Verna in videoconferenza a rappresentarlo, si è stati ammessi presso un giudizio alla Suprema Corte. Martedì 9 giugno si è infatti avuta l’udienza pubblica della Corte costituzionale sulla legittimità della pena detentiva in merito al reato di diffamazione a mezzo stampa. L’organo rappresentativo dei giornalisti italiani è unanime nel richiedere l’abrogazione del carcere per i propri iscritti e questa pena afflittiva in vigore nel nostro Paese, come ha notato contrariato il Consiglio d’Europa, è questione tanto annosa quanto, aggiungiamo noi, vergognosa e non più tollerabile. «La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo - dichiara Carlo Verna, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine (Cnog) - ha più volte sollecitato i governi italiani succedutisi nel tempo a rivedere il reato di diffamazione. Sul giornalismo in Italia, purtroppo - conclude Verna - i temi concernenti le regole obsolete sono tanti e auspichiamo che, a partire dalla pronuncia della Corte che auguriamo vada incontro alla libertà di stampa, si possa avviare una revisione complessiva delle norme».

La pena detentiva è assolutamente incompatibile con i principi di libertà di informazione. Questa la chiara e netta posizione espressa dall’Odg nel corso dell’udienza della Corte costituzionale svoltasi al palazzo della Consulta. A dar man forte al presidente Verna, il segretario del Cnog Guido D’Ubaldo: «Nessuno pensi, nel caso venga abolito il carcere, a sanzioni pecuniarie talmente esose da continuare a condizionare il giornalista come accade oggi con lo spettro della detenzione».

A inizio dell’udienza la Corte ha ammesso la costituzione in giudizio del Cnog non solo per il procedimento presso il tribunale di Salerno, ma anche per quello in corso al tribunale di Bari, dove in entrambi i casi era stata sollevata la questione di legittimità della norma.

La Corte costituzionale, appellandosi al principio di “leale collaborazione istituzionale” ha deciso di rinviare l’udienza al 22 giugno 2021, di fatto concedendo un anno di tempo al Parlamento - presso il quale pendono varie proposte di legge sul tema - per rivedere l’attuale assetto normativo.

Dal comunicato diramato dalla Corte si legge che “[…] la soluzione delle questioni richiede una complessa operazione di bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale. Una rimodulazione di questo bilanciamento, ormai urgente alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, spetta in primo luogo al legislatore […]”.

È facile prevedere che nel caso in cui il Parlamento non dovesse nel frattempo accogliere l’appello dei giudici costituzionali, la Corte tradurrà il proprio monito in una decisione di incostituzionalità.

Il commento di Carlo Verna, presidente dell’Odg, in merito alla decisione della Suprema Corte di dare un anno di tempo al Parlamento per intervenire sulla pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa, è stato: «Quando si parla di una così intollerabile e anacronistica sanzione come il carcere ai giornalisti ci vorrebbe una cancellazione secca della norma, ma il segnale della Corte costituzionale è molto forte. Siamo soddisfatti della perentorietà con cui i giudici delle leggi hanno investito il Parlamento. Questa deve essere l’occasione per una nuova legislazione per il giornalismo che sanzioni anche le iniziative giudiziarie temerarie contro la libertà di stampa».

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it