Fanno tappa a Benevento i resti dell'auto di scorta della strage di Capaci Cronaca

La teca che custodisce i resti dell’auto blindata su cui viaggiano gli uomini della scorta del giudice Giovanni Falcone, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, è stata esposta davanti al Palazzo del Governo per un’intera giornata che si è articolata in due step, con altrettante location.

Dapprima, una cerimonia davanti alla teca, cui hanno preso parte, tra gli altri, il prefetto Raffaella Moscarella, il sindaco Clemente Mastella e la vedova di Montinari, Tina. In piazza, con i rappresentanti dell’associazione “Libera”, a raccontare e parlare delle vittime e del loro sacrificio, anche numerosi alunni delle scuole cittadine.

A seguire, un incontro al teatro comunale, nel corso del quale, la signora Montinaro, ripercorrendo i momenti salienti di quel tragico giorno - era il 23 maggio del 1992 - ha interagito con i ragazzi e risposto alle loro domande. La tappa di Benevento, fa parte di un viaggio che percorre le città dell’Italia, per non dimenticare le vittime delle mafie. 

Da qui, l’importanza della memoria, per far si che il ricordo non rimanga solo cenere da contemplare, ma che esso assolva il suo compito di perpetuare gesti, parole, valori, o più semplicemente, il senso della vita e della passione che non solo Giovanni Falcone, ma anche Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, avevano messo nell’adempimento del proprio dovere.

Di più: il desiderio di onorare la vita di questi uomini, gli agenti di scorta, per l’appunto. Di ridare loro, una identità. Ecco perché Rocco, Vito e Antonio, hanno ripreso, con questa iniziativa, la loro identità.

Quando si commemorano gli eccidi di mafia, infatti, sovente si ricordano con il nome e cognome i magistrati che hanno combattuto in prima linea e si “liquidano” con un laconico “gli uomini della scorta”, le altre vittime.

Sembra quasi che queste ultime siano un “contorno” a quelle dai nomi più altisonanti, che rimandano al loro impegno contro la mafia. Quasi fossero vittime di serie B. Ma a Capaci, oltre a Falcone e la moglie Francesca Morvillo, sotto i chili di tritolo, hanno perso la vita anche Rocco, Vito e Antonio, che la mafia l'hanno combattuta proteggendo il magistrato.

Anche loro erano figli, mariti, fidanzati, genitori e fratelli. Anche loro credevano nella legalità e nella giustizia. Anche loro vivevano il presente e progettavano il futuro e, pertanto, vanno opportunamente menzionati e ricordati.

I nomi devono necessariamente continuare a essere associati a un volto, a una famiglia, a una esistenza che Cosa Nostra ha spazzato via insieme ai due magistrati, più conosciuti e maggiormente in prima linea nella lotta alla mafia.

Il pensiero, va a loro e a chi - i familiari - ha continuato a perpetuarne il ricordo, a portare addosso i segni del dolore e della mancanza, a celebrarli con gesti e parole, per fare si che non vengano dimenticati, ma anche e, soprattutto, per consentire che, attraverso il ricordo, la loro assenza diventi quasi presenza. L’auto, non custodisce solo i rottami e i chili di tritolo che l’hanno mandata in frantumi. Essa conserva le vite, il sangue e i sogni di Vito, Rocco e Antonio e di quanti gli hanno voluto bene.

Marisa Del Monaco