Il cellulare come passatempo Cronaca

Tutti noi abbiamo del tempo libero, chi più chi meno. Qualcuno ne ha fin troppo, come ad esempio i pensionati (a parte quelli che devono occuparsi dei nipoti); poi c’è chi ne ha troppo poco, come le donne, spesso obbligate a barcamenarsi tra lavoro, famiglia e gestione della casa. Ma le ore che dedichiamo al tempo libero sono quelle che ci procurano maggior diletto ed in un certo senso definiscono chi siamo, forse persino più delle ore trascorse lavorando.

Il tempo libero si può trascorrere da soli o in compagnia. Sin da piccoli, i bambini si distinguono tra quelli che preferiscono passatempi di gruppo, come lo sport o le uscite con gli amici, e quelli dediti invece a passatempi solitari, come per esempio la lettura. Questi bambini diverranno poi degli adulti sportivi o intellettuali, estroversi o introversi.

La peculiarità del 21° secolo è la nascita di un terzo genere di passatempo, che può essere sia di gruppo che solitario, probabilmente un ibrido tra i due, ma verosimilmente si rivela un hobby solitario che dà l’illusione della compagnia. Sto parlando dell’uso dello smartphone, forse il passatempo più inclusivo dei nostri giorni, dato che accomuna persone di tutte le età, generi e condizioni sociali. È sufficiente prendere un autobus o fare la coda in un ufficio postale per rendersi conto che lo smartphone è lo strumento con cui quasi tutti preferiscono passare il tempo.

Ma che cosa facciamo effettivamente quando siamo incollati allo schermo di uno smartphone? Il più delle volte si chatta, si gioca ad un videogame online, si leggono notizie o si scorrono i social. S’inganna il tempo, in parole povere. Se andiamo a guardare, usiamo lo smartphone per riempire i momenti di vuoto, ma farlo ci piace così tanto che quei momenti finiscono per sottrarre tempo a tutte le altre attività.

La diffusione ormai capillare degli smartphone ha fatto in modo che ognuno di noi, in ogni istante, viva contemporaneamente in due mondi differenti: il mondo della realtà che lo circonda e quello parallelo della rete, degli amici e dei follower online. Per fare un esempio di quello a cui mi riferisco, proviamo ad immaginare una cena fuori tra amici. Fino a pochi anni fa, sarebbe stata un’occasione per conversare tra commensali, nell’attesa tra una portata e l’altra. Oggi invece spesso e volentieri chi è a tavola trascura i suoi vicini per chattare e poi, quando il piatto viene servito, il suo primo pensiero è quello di fotografarlo e farne una storia da pubblicare.

Lo stesso fenomeno si verifica ai concerti, dove i fan trovano irrinunciabile tirare fuori gli smartphone e filmare (certi cantanti, ormai spazientiti, hanno iniziato a vietare i telefoni durante le loro esibizioni), come se il bisogno di far sapere agli altri che si è lì sia più importante del vivere il concerto in prima persona.

Chi sono poi questi altri? Gli amici, i follower, una massa indistinta di sconosciuti, cui però diamo più importanza rispetto a coloro che abbiamo intorno. Avere un discreto numero di follower è importante, è segno che contiamo qualcosa. Eppure, a parte gli influencer, che ricavano profitto in base al numero dei loro follower, per noi comuni mortali essere seguiti non è fonte di guadagno, al massimo può rappresentare una soddisfazione personale, ma puramente fine a sé stessa. Un alto numero di follower è uno status symbol, un po’ come per taluni il poter esibire un’auto costosa o un orologio di lusso.

Ma, a costo di sembrare ripetitivo, chi è che viene a contare i nostri follower? Per impressionare chi dobbiamo sforzarci per poter esibire una ragguardevole quantità di contatti? Sembra un serpente che si morde la coda. Dunque lo smartphone è quello strumento che ci ha risucchiati nel mondo della rete. E per far colpo sugli altri abitanti di questo mondo, ci diamo da fare trascurando sempre più il mondo reale intorno a noi. Sorge spontanea dunque un’ultima domanda: è lo smartphone il nostro strumento, o siamo diventati noi lo strumento?

CARLO DELASSO