'A calata 'e livèll nel gesto antico Cultura

L’impegno di quanti provano a restituire alla vita un luogo tra i più fascinosi e umiliati di Benevento mi ha fatto tornare in mente un gesto antico, perduto con la Seconda Guerra Mondiale.

Lo vidi per la prima volta quando, giovanissimo, domandai a una donna molto anziana dove aveva abitato da ragazza. Rispose senza aprir bocca, portò una mano alla fronte e poi la calò pian piano muovendo però velocemente l'indice e il medio in modo alternato. Accortasi che non avevo capito, disse: “Quel luogo è una ripida scalinatella senza nome (FOTO), la chiamiamo ‘a calàta ‘e livèll ca porta a Sant Muriést e for ’u tuóppolo perché arriva alla ormai distrutta Parrocchia di San Modesto e fuori dalla collina. Laggiù si va anche fuori dalle mura della città attraversando ‘a Porta Nova che ha allargato ‘u purtusill d’ ‘u tuóppolo, il piccolo varco preesistente.

ISant Muriést era una abbazia con pochi monaci non beneventani, uscivano dalla porta del loro giardino a metà della rampa - che chiamavano il Clivo invece che ‘a calata ‘e livèll - e salivano fino all’Arcivescovado per svolgere attività religiose e culturali. Nella Parrocchia insegnavano a leggere e scrivere ai bambini da avviare poi all’apprendistato di mestieri”.

Fatta di grossi ciottoli di fiume e frammenti di edifici romani, ‘a calata ‘e livèll era stata dunque costruita sul terreno dell’Abbazia di San Modesto. Il percorso di alcune decine di metri, dato dall'Arcivescovo in uso pubblico, fu disegnato senza nome già nel Settecento da Liborio Pizzella con accanto la struttura architettonica dominata dalla chiesa abbaziale e pubblicato da Stefano Borgia (Memorie Istoriche della Pontificia Città di Benevento, Roma vol. II, 1764).

Rasa al suolo l’Abbazia dai bombardamenti del 1943, la città ha sempre chiesto invano indagini archeologiche per recuperare i ruderi di quell’importante centro altomedievale di culto e di cultura di Benevento, ma a sua volta ha eliminato il nome dialettale ‘a calàta ‘e livell per sostituirlo conCalata Olivella’, un errore nato dall’assonanza linguistica. Della rampa va scomparendo anche il secondo nome popolare ‘u Pisciariell, nato per sottolineare che vi scorrevano sempre acque fastidiose.

Il gesto antico della mano indicante ‘a calata ‘e livèll rinvia ai gesti che esprimevano i tanti significati del verbo calare, senza necessità di parole: acàla ‘a pasta (versa la pasta nell’acqua che bolle), acàla ‘sta mano (abbassa la mano, non toccarmi), acàla si ‘u vuo’ venn (abbassa il prezzo se lo vuoi vendere). La comunicazione quotidiana si affida molto alle mani, un po’ meno alla mimica del corpo. Siamo arrivati a usare i gesti come lingua dei segni per i sordomuti e gli emoji perché più efficaci delle parole a dimensione internazionale, ma restiamo sempre affascinati dalle mani dipinte o scolpite come ‘elemento parlante’. In realtà l’evoluzione umana non ha eliminato quanto di ancestrale viaggia dentro di noi, per cui non ci sorprendono più nemmeno i dipinti misteriosi del paleolitico, come quello della Grotta delle Mani in Argentina o figure assurde come la Madonna con tre mani, non rara nell’arte bizantina.

Potrebbe tuttavia sembrare che, siccome il gesto della mano trasmette un messaggio di durata breve, nell’arte sia più efficace l’atteggiamento del corpo, quello femminile in particolare. E invece, la mano del Bambino che si strofina impertinente sul volto della Madonna di Castelfiorentino attribuita a Cimabue richiama l’attenzione dell’osservatore molto più della postura un po' supponente della donna affrescata nella Villa dei Misteri a Pompei col busto in torsione e il dorso della mano destra poggiato sull’anca. Perciò anche gli artisti moderni preferiscono il gesto.

Compagni quasi inconsapevoli delle parole nella comunicazione quotidiana, i gesti nascono e spariscono nel tempo. Raffigurati e studiati intensificano le relazioni, ampliano l’orizzonte estetico, attivano sensibilità ed emotività. Pronta a ripetere il gesto antico con cui provò a comunicare ‘a calata ‘e livèll a me che ero un ragazzo, la donna anziana che parlava con le dita vibranti della mano sembra ancora aspettare me quando mi aggiro nei vicoli del Triggio in cerca dell’ignoto che incuriosisce la vita intellettuale.

ELIO GALASSO