Alessandro Farnese, pastore o amministratore dell'Arcidiocesi beneventana? Cultura

L’abate cistercense Ferdinando Ughelli (1495-1570), nella sua monumentale opera in nove volumi Italia Sacra, che illustra le diocesi italiane con le biografie dei vescovi, nel descrivere la figura dell’arcivescovo Alessandro Farnese si chiede se lo stesso fosse stato un pastore o soltanto un amministratore dell’Arcidiocesi beneventana.

L’Ughelli esprimeva tale severo giudizio perché doveva essere in possesso di elementi certi circa la non presenza in sede dell’arcivescovo.

Anche Ferdinando Grassi si chiede, nel libro I Pastori della Cattedra Beneventana, se i suoi diocesani videro mai “il volto incorniciato da barba e le pupille folgoreggianti di questo loro arcivescovo”.

Invero, in due occasioni, tramandate da fonti storiche, il Farnese non risulta essere presente nella sua Arcidiocesi. Né quando, nel 1517, un tale Scantaterra assalì il palazzo arcivescovile per depredarlo, né dieci anni dopo, allorché i rappresentanti delle due fazioni cittadine si recarono in Curia per stipulare la pace.

In entrambi i casi erano presenti, in rappresentanza del Farnese, due vescovi suffraganei.

In occasione dell’incursione dello Scantaterra, il Grassi annota che “per sua fortuna l’arcivescovo non era presente”.

Ma il Grassi non poteva non sapere che il buon pastore deve essere presente nella sua Diocesi, accanto al suo gregge ed ai suoi sacerdoti. In particolare, nei momenti di pericolo.

Ma chi era Alessandro Farnese?

Discendente da nobile famiglia romana e tra le più facoltose della città, Alessandro nacque nel 1468 a Canino, nei pressi di Viterbo, possedimento dei Farnese, da Pierluigi e da Giovanna Caetani.

Dedito ai piaceri della vita mondana, prese tardi i voti sacerdotali. Il giovane era fine, colto, intelligente, piacevole conversatore, ma il cappello cardinalizio lo ottenne nel 1493, a 25 anni, grazie soprattutto ai maneggi di sua sorella Giulia, già amante di Papa Alessandro VI.

La bella Giulia, come era chiamata a Roma ai suoi tempi, rappresentata dal Della Porta come raffigurazione della giustizia nel monumento funebre di Paolo III ed alla quale D’Annunzio dedicherà versi di conturbante sensualità.

Il Farnese guidò diverse diocesi - Corneto, Parma, Tuscolo - e, finalmente, nel 1514, Leone X lo destinò a Benevento.

All’epoca, l’Arcidiocesi metropolitana beneventana non aveva più le 32 diocesi suffraganee dell’antichità, né le 24 del secolo XII. Comunque, con le 16 diocesi, dalle Marche alla Puglia, che ancora dipendevano da Benevento, era sempre una delle più importanti Arcidiocesi della Chiesa cattolica, che avrebbe richiesto, appunto, la presenza vigile e costante del suo Pastore. Cosa che il Farnese non fece, tanto da cedere nel 1521 di lasciare l’Arcidiocesi ad un suo nipote - Alfonso Sforza - per poi riprenderla nello stesso anno alla morte prematura dello Sforza e tenerla fino al 1530.

Tracce del suo magistero a Benevento si rinvengono soltanto attraverso le azioni di qualche vescovo suo suffraganeo. Il Farnese, evidentemente, era troppo occupato a seguire a Roma i lavori del suo maestoso palazzo a Campo dei Fiori, per la cui realizzazione erano impiegati il Sangallo ed altri valenti artisti, tra cui lo stesso Michelangelo.

Quando, il 25 settembre del 1534, Papa Clemente VII Medici morì, si impose la candidatura del cardinale Farnese, che fu eletto all’unanimità il 12 ottobre, assumendo il nome di Paolo III.

Il Farnese arrivò al pontificato con quattro figli, di cui due legittimati, e fu nepotista come tutti i Papi del ‘500. Si preoccupò di accrescere la ricchezza e la potenza della sua casata. Concesse, infatti, la berretta cardinalizia a tre suoi nipoti. Uno di essi - Alessandro - fu un grande mecenate e fece costruire la chiesa del Gesù, una delle chiese regine di Roma.

Il disinteresse che il Farnese aveva mostrato da arcivescovo verso la sua Arcidiocesi si trasformò, da Papa, in risolutezza e decisionismo, imponendosi come uno dei grandi Papi dell’epoca.

Ma, comunque, non dimenticò di essere stato arcivescovo di Benevento, o almeno di averne avuto il titolo, e “si dimostrò - scrive Vergineo - largo di privilegi verso il Ducato”.

Affetto dal mal della pietra, fece costruire palazzi e castelli anche fuori Roma. A Perugia innalzò una rocca che da lui prese il nome di Paolina, ben munita di armi e munizioni. Il Carducci, tre secoli dopo, in una sua nota poesia, avrebbe fatto dire a Papa Paolo: Quel gregge perugino tra i burroni | troppo volentier - disse - mi si svia. | Per ammonire, il Padre Eterno ha i tuoni, | io suo Vicario avrò l’artiglieria.

Deciso fin dall’inizio del suo pontificato ad assumere iniziative per creare una conciliazione con i luterani, convocò a Trento, nel 1542, un Concilio che aprì i lavori tre anni dopo, per concluderli nel 1563. Tale assise, che avviò la Controriforma, segnò un momento decisivo nella storia della Chiesa. Non servì, però, a recuperare i seguaci del luteranesimo, né quelli della Chiesa Anglicana.

Intanto, al nascere della riforma protestante, un gruppo di cardinali intransigenti, guidati dal cardinale Gian Pietro Carafa - irpino, futuro Paolo IV - aveva ottenuto nel 1542, da Paolo III, la ricostituzione del Tribunale dell’Inquisizione. I processi che saranno intentati contro Giordano Bruno e Galilei suonano ancora oggi a vergogna di un certo modo di intendere la religione.

Da fine intellettuale e da buon intenditore d’arte, Paolo III fu anche il Papa - come scrive Papini - “che dopo Giulio II, avrà la più amorevole riverenza per Michelangelo e per la sua opera”, spingendolo a completare gli affreschi del giudizio universale della Sistina.

Papa Farnese morì il 10 novembre del 1549, dopo 15 anni di papato. Fu sepolto in San Pietro in un mausoleo opera di Guglielmo Della Porta, collocato nel transetto destro della basilica.

I beneventani appresero la notizia della morte del loro vecchio… Pastore dall’annunzio che ne diede il Vicario Generale - mons. Conturberio - in assenza dell’arcivescovo Della Casa.

Non conobbero, invece, i beneventani i versi dissacranti dedicati da Pasquino - a mo’ di… epitaffio - al vecchio Papa Paolo:

In questa tomba giace,

un avvoltoio cupido e rapace.

Ei fu Paolo Farnese,

che mai nulla donò, che tutto prese.

Fate per lui orazione:

poveretto, morì d’ingestione.

GENNARO IAVERONE

Tiziano - Ritratto di Paolo III, 1543