Benevento Capitale Italiana della Cultura 2028? Cultura

Il sindaco Clemente Mastella lo ha annunciato ufficialmente: Benevento si candiderà a Capitale Italiana della Cultura per il 2028. Un’ambizione importante, che riaccende il dibattito cittadino tra entusiasmo e scetticismo. Ma cosa significa davvero questa candidatura per Benevento? E quali sono le carte da giocare o le criticità da affrontare?

PERCHÉ SÌ

Benevento è una città che trasuda storia da ogni vicolo, da ogni pietra, da ogni scorcio del centro storico. È una città che può vantare monumenti di inestimabile valore come l’Arco di Traiano, il Teatro Romano, il complesso monastico di Santa Sofia - riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’UNESCO - e una stratificazione culturale che abbraccia l’epoca romana, quella longobarda, normanna e borbonica.

Ma non si tratta soltanto di memoria storica. Benevento possiede un’identità culturale viva, profonda, a tratti misteriosa. Le leggende delle janare, le tradizioni contadine, la musica popolare, la cucina tipica, le feste religiose e le narrazioni tramandate oralmente sono parte di un patrimonio immateriale che arricchisce la proposta culturale della città.

Negli ultimi anni, manifestazioni come “Benevento Città Spettacolo”, il “BCT - Festival del Cinema e della Televisione”, il ritorno delle notti delle streghe, le iniziative promosse dai musei locali e dalle associazioni culturali, hanno dimostrato che la città è in grado di offrire eventi di qualità e richiamare pubblico, anche da fuori provincia.

La candidatura a Capitale Italiana della Cultura potrebbe rappresentare una spinta concreta per il rilancio turistico, la valorizzazione del patrimonio, l’apertura di nuovi spazi culturali, l’occupazione giovanile e la creazione di reti artistiche permanenti. In altre parole, un’occasione per trasformare le potenzialità latenti in infrastruttura e progetto.

PERCHÉ NO

Non mancano però le criticità, note e meno note. Benevento soffre da tempo di una cronica carenza di infrastrutture: collegamenti ferroviari e stradali ancora deboli, trasporti pubblici poco efficienti, mancanza di un aeroporto vicino, strutture ricettive limitate. A questo si aggiungono problemi legati alla manutenzione dei beni storici, alla scarsa accessibilità per turisti con disabilità, alla frammentazione delle iniziative culturali e alla carenza di spazi pubblici adeguati.

La vivacità culturale c’è, ma spesso si concentra in pochi eventi di punta, seguiti da lunghi periodi di vuoto. Manca, in molti casi, una programmazione annuale coerente, una visione d’insieme che colleghi cultura, educazione, innovazione e cittadinanza attiva. C’è poi un rischio più sottile, ma forse più insidioso: quello della candidatura come bandiera politica, più utile a rafforzare consensi che a generare un reale processo di sviluppo culturale.

Senza un coinvolgimento autentico della cittadinanza, delle scuole, delle università, degli artisti locali, dei giovani e dei professionisti del settore, il pericolo è che tutto si riduca a un esercizio di facciata. E i progetti imposti dall’alto, si sa, raramente riescono a mettere radici durature.

UNA DOMANDA APERTA

La candidatura di Benevento a Capitale Italiana della Cultura 2028 è, senza dubbio, una grande occasione. Ma sarà vincente solo se saprà partire dal basso, raccogliere energie vere, aprire cantieri culturali permanenti, stimolare la creatività e, soprattutto, affrontare con coraggio le storiche fragilità del territorio.

Essere “capitale” non significa soltanto ospitare eventi prestigiosi o ottenere finanziamenti. Significa dotarsi di una visione condivisa, di una strategia culturale capace di durare nel tempo, anche oltre il 2028. Significa dare un senso collettivo alla parola “cultura”, farla uscire dai palazzi istituzionali e portarla nei quartieri, nelle scuole, nei laboratori, nei luoghi in cui si immagina il futuro.

Il titolo potrebbe non arrivare. Ma il cammino per conquistarlo se fatto con serietà, trasparenza e partecipazione potrebbe rappresentare, di per sé, un processo di trasformazione autentica. Perché una città diventa davvero capitale quando riesce a mettersi in discussione. E soprattutto, quando riesce a far sentire i suoi cittadini protagonisti, non spettatori.

CARLO PEDATA