Briganti e brigantesse nel Sannio Cultura

Un po’ pirata un po’ guascone, sorriso beffardo, un paio di baffi a spazzolino come quelli di un hidalgo o di un caballero di Spagna”. Così Emilio Bove descrive il ‘brigante’ Cosimo Giordano nel suo recente volume Politica e affari nell’Italia del Risorgimento. Lo scontro in Valle Telesina. Personaggi e vicende (1860-1882). L’accattivante interpretazione psicofisica di quel protagonista di vicende tragiche riconduce alla condizione politica, socioeconomica e culturale del Mezzogiorno postunitario decisamente spaccato in due, con conseguenze a lungo persistenti. La materia del libro viene precisata dall’Autore con sottotitoli in quarta di copertina: Briganti, politici e uomini di Chiesa. Le vicende risorgimentali in Valle Telesina. La nascita della Provincia di Benevento. Lo scontro elettorale nel Collegio di Cajazzo. Ma l’analisi che interconnette i singoli temi presi in considerazione va ben oltre una schematica trattazione.

Nato nel 1839 in una famiglia povera, da ragazzo Cosimo Giordano fu apprendista barbiere e guardiano di animali. Ancora nel 1866 il Sindaco di Cerreto Sannita gli rilasciava un Certificato di povertà. La sua vita deviò a 16 anni: presente all’assassinio di suo padre da parte di un creditore, Cosimo lo uccise a sua volta con un coltello. Costituitosi spontaneamente, fu assolto dalla Corte Criminale di Napoli per l’efferatezza dell’omicida contro il quale aveva reagito d’impulso. Si arruolò poi nell’esercito borbonico e combatté nel 1860 al Volturno contro l’armata di Garibaldi, ottenendo il grado di Capitano di Cavalleria. Ma una serie di vicende equivoche lo indussero alla latitanza durante la quale costituì una propria banda che spicca nella storia del ‘brigantaggio’, identificato a lungo come atteggiamento tipico del meridionale primitivo incline al crimine.

Dopo la cattura nel 1884, Cosimo Giordano fu condannato e mandato al carcere di Favignana nell’arcipelago siciliano delle Egadi dove morì nel 1888. Era stato difeso con fervore da Antonio Mellusi, Michele Ungaro e Giuseppe D’Andrea nel processo davanti alla Corte d’Assise di Benevento. Ma non solo per questo ne torna l’eco nell’immaginario beneventano, sempre più orientato a fare di lui una icona delle reazioni popolari contro le nuove élites al potere, in parallelo con la dialettica parlamentare che - osserva Tonino Conte nella Prefazione del libro - cominciò finalmente ad avvertire ingiustizie e drammi sociali e ad affrontare scandali e arbitrii intollerabili. Ironica in proposito l’immagine di copertina del libro di Emilio Bove - La nuova ‘casta politica’ all’aperitivo - una fotografia diffusa nel 1860 da Michele Mang nel clima di effervescenze popolari ancora oggi tutt’altro che sopite, come ultimamente ha constatato la Civica Amministrazione di Cerreto Sannita nell’intitolare una piazza a Cosimo Giordano, ‘brigante’, cerretese.

Devo qui sottolineare che molti studi su quella fase storica ignorano inspiegabilmente il cospicuo patrimonio documentario custodito a Benevento nel Museo del Sannio, da me in parte utilizzato nel 1983 per la Mostra Brigantaggio sul Matese, 1860-1880 e schedato nel relativo Catalogo che presenta in copertina la ‘Brigantessa’ Michelina De Cesare (nell’immagine) compagna spavalda del capobanda Francesco Guerra. Si tratta di un nucleo dell’Archivio Storico della Provincia di Benevento reso pubblicamente fruibile nel 1909 dall'Amministrazione Provinciale di Benevento che ne affidò la direzione ad Antonio Mellusi. A quella istituzione culturale il grande scrittore giurista storico poeta e uomo politico dedicò l’ultima fase della sua vita, quando nel 1911 scrisse il volume L’origine della Provincia di Benevento e nel 1914 fondò la Rivista Storica del Sannio. Accorpato poi al Museo del Sannio, l’Archivio Storico Provinciale avrebbe dovuto essere progressivamente arricchito con le documentazioni di epoche successive rimaste nella sede della Provincia. Ma la consegna al Museo non avvenne, nonostante lo stimolo della suddetta Mostra del 1983. Alla fine degli Anni Novanta mi fu possibile esporne per una settimana nella sede del Comune di San Leucio del Sannio una quindicina di atti e fotografie relativi ai militari di quella cittadina caduti sui fronti della Prima Guerra Mondiale: qualche erede di famiglia vi si inginocchiò davanti, in lacrime.

La Mostra del 1983, non progettata per una ricorrenza, scaturiva dalle quotidiane attività del Museo del Sannio basate sul rapporto tra la scelta di temi specifici di studio e il coinvolgimento di specialisti multidisciplinari, per reagire allo schematismo critico e sperimentare tecnologie di scienza museografica sempre più attuali. Tanto indicai nella Prefazione del Catalogo:L’idea era di creare un’atmosfera sottilmente dissacrante, anche perché numerose fotografie di briganti e brigantesse - molti di loro ritratti armi alla mano, ma chiaramente dopo la fucilazione - sono state esposte per denotare la quota di falsificazione che le comunicazioni di massa del secondo Ottocento introducevano su tutti i passaggi della vita risorgimentale”. Il volume si avvalse del saggio introduttivo di due ricercatori di area beneventana, Rosario di Lello e Giuliano Palumbo.

Nelle sale al primo piano della Rocca dei Rettori, sede allora della Sezione Storica del Museo del Sannio, dominava una Circolare del 1° maggio 1865 in cui il Prefetto di Caserta proclamava con ferocia:

AI LADRONI, AI LORO FAUTORI, AI MANUTENGOLI

È DELITTO LASCIARE PIÙ SCAMPO.

GUERRA IMPLACABILE E STERMINIO!

Nella Mostra Brigantaggio sul Matese, 1860-1880 furono esposti editti e notifiche, lettere autografe di autorità e ‘briganti’, sculture, dipinti, disegni, armi e bandiere, mappe, volumi, incisioni, fotografie, capi d’abbigliamento e oggetti di vita quotidiana: opere del Museo del Sannio o prestate da privati che raccontano delitti e soprusi nel contesto struggente di una povertà di dimensione inimmaginabile. Per darne una idea riporto qui dal volume del Catalogo qualche titolo, significativo anche per il ruolo svolto dalle ‘brigantesse’, premurose verso i compagni e i familiari distanti, combattive tra grotte e montagne, pronte alla morte:

- Divieto di matrimonio per i militari in congedo del disciolto esercito borbonico, 1861 - Preoccupazioni del Dicastero di Polizia per l’orientamento filoborbonico del clero, 1861 - Elenco dei reazionari passati per le armi dopo i fatti di Pontelandolfo e Casalduni, Cerreto Sannita 1861 - Diffida al clero di Cusano Mutri ad astenersi da manifestazioni filoborboniche, 1863 - La Banda Giordano da una roccia di Monte Erbano inneggia ironicamente a re Vittorio Emanuele, Cerreto Sannita 1863 - Scontro a fuoco tra la Banda Giordano e la truppa in tenimento di Cusano, 1863 - Mandato di cattura per il capobrigante Cosimo Giordano, 1864 - Condanna a dieci anni di lavori forzati per la brigantessa Maria Elena Ciarleglio contadina, 1865 - Certificato di povertà del Capobrigante Cosimo Giordano rilasciato dal Sindaco di Cerreto Sannita, 1866 - Taglia di Lire 3000 per la cattura dei capibriganti Cosimo Giordano e Vincenzo Lodovico, 1866 - Fotografie delle brigantesse Giocondina Marino da Cervinara compagna del brigante Alessandro Pace; Maria Maddalena De Lellis; Maria Capitano da San Vittore; Carolina Casale da Cervinara - La brigantessa Michelina De Cesare (FIG. 6) poi torturata, uccisa e oltraggiata - Il generale Pallavicini annuncia la fine del brigantaggio,1869 - Ricomparsa di Cosimo Giordano e Libero Albanese sui dirupi di Monte Mutria, Cerreto Sannita 1880 - Richiesta di truppe a tutela dei bagnanti delle Terme di Telese,1880 - Fotografie di Emigrati del Matese negli Stati Uniti d’America subito dopo il Brigantaggio… Uccisioni, violenze e falsità - scrissero Rosario Di Lello e Giuliano Palumbo nel Catalogo della Mostra, stampato per le Edizioni del Museo del Sannio - si conclusero “in una dissolvenza di suoni, di voci, di immagini. Sull’ultimo riverbero del Brigantaggio tramontato s’era innestato impercettibilmente un evento di non minore portata, l’emigrazione. Alla lotta armata seguì l’esodo di migliaia di italiani, e quelle masse abbandonate a se stesse, silenziose ma tenaci, anno dopo anno andarono incontro al miraggio lontano di un avvenire migliore”.

Quando si vide affidare la direzione dell’Archivio Storico Provinciale, Antonio Mellusi, non riuscendo ad immergersi con serenità nello studio delle sconvolgenti testimonianze storiche lì contenute, abbandonò ogni attività professionale. Il rapporto empatico instaurato con Cosimo Giordano durante il lungo processo gli aveva imprevedibilmente svelato di lui intelligenza e cuore. Intervenuta a sua volta in ritardo, la giustizia non si accorse che, dopo tante torbide vicende, negli ultimi anni il ‘brigante’ aveva attraversato esperienze di vita civile in Italia e all’estero, fino a diventare marito e padre esemplare, un uomo che Antonio Mellusi difendeva con rispetto. E la sentenza fu una delusione profonda per il ‘romantico’ intellettuale, che dopo averlo aiutato invano in tribunale, ritenne immeritata la condanna ai lavori forzati a vita.

ELIO GALASSO