Caterina abbruciata Cultura

C’è un borgo in Svizzera con scope davanti alle porte. A un beneventano non passano inosservate ma, a domandare, nessuna strega le ha mai cavalcate. E’ Poschiavo quel borgo, a mille metri di altitudine, attraversato da un fiumicello che penetra in Italia tra le Alpi e si versa nell’Adda. Niente danze lassù intorno al noce che non c’è, né convegni satanici al chiaro di luna nati da fantasie di artisti. Come in tutta l’Europa del Seicento, a Poschiavo c’erano donne che coltivavano piante aromatiche per la cucina, creavano intrugli per la cosmetica, usavano erbe medicinali per la salute, si tramandavano ricette per amori, tradimenti, scongiuri.

Le loro pratiche facevano pensare ad accordi segreti col… Diavolo. E avere a che fare con l’essere maligno che affascina, svanisce e poi piomba addosso fulmineo, non era a quei tempi una colpa esclusivamente personale: era un ‘peccato mortale’ trasmissibile all’intera comunità perché il Diavolo, immateriale e invisibile, passa in modo incontrollabile dalla sfera spirituale alla realtà fisica. Di qui accuse continue alle donne che se ne facevano ‘stregare’, processi nei tribunali, donne mandate al rogo per inviarne le anime al giudizio divino. Tutto previsto dagli Statuti ossia Legge della Comunità di Poschiavo, e dunque femminicidi a norma di legge.

Gli atti di centoventitre processi ‘per stregheria’ custoditi nell’Archivio Comunale di Poschiavo sono disponibili agli studiosi. Non c’è in essi ombra di commozione. Eccone uno, da me scelto non a caso.

DOMENICA 20 GENNAIO 1697

Il Podestà Valerio Regazzi per liberare subito i cittadini di Poschiavo dal ‘male’, anticipa l’interrogatorio previsto per il giorno dopo e fa arrestare Caterina. Nella Casa della Magnifica Comunità il Giudice chiede, lei risponde.

* State tremando di paura, che avete fatto?

- Non tremo, non mi piace stare qui. Mi hanno accusata a torto di quel peccato.

* Di quel peccato, avete detto? Nessuno qui lo ha nominato, dunque sapete che avete peccato? Dicono che sentite strani rumori…

- Si, li ho sentiti in cucina, parevano gattacci che fuori dall’uscio si stiravano, si graffiavano e ho avuto paura, mi sono raccomandata a Dio finché quel rumore si è fermato.

LUNEDI 21 GENNAIO 1697

* Il vostro nome?

- Caterina, figlia di Matteo Ross

* E il nome di vostra madre?

- Nesotta

* Che età avete?

- Ho passato da poco i 30 anni

* È viva o morta vostra madre?

- Morta, è stata giustiziata

* Per quale motivo?

- Giustiziata come strega

* Perché vi avevano espulsa da Poschiavo?

- Sospettavano che io avessi imparato qualche arte malefica

* Da vostra madre o dalla nonna?

- Da mia nonna, anch’essa giustiziata

* Siete mai stata accusata di arti malefiche?

- Si, dalla sorella del Signor Podestà Lanfranchin

* Vi ricordate che a quel Podestà avete fatto mangiare qualcosa, lui ne restò gravemente malato, poi gli avete propinato altro e lui guarì?

- Non gli ho propinato niente

* Ieri, quando avete sentito quei rumori che graffiavano l’uscio di casa, cosa avete visto?

- Niente, ho solo sentito

* Dite la verità, non perdiamo tempo

- La verità l’ho detta, sono malelingue quelle che mi accusano

LUNEDI 28 GENNAIO 1697

I membri del Tribunale stabiliscono di arrivare alla conclusione del processo ma Caterina non confessa. Seguono altre sedute durante le quali dice di essere stata accusata falsamente anche della morte di un bambino malato e di aver fatto perdere il latte a una giovane madre. Tra dubbi e sospetti viene riportata ogni volta in carcere. Occorre la sua confessione.

Il Tribunale ordina la ‘visita del suo corpo’ per scoprire eventuali tracce demoniache. Dopo la visita, il Maestro di Giustizia dichiara di aver trovato due segni, sul braccio destro e sulla gamba sinistra, i ‘bolli’ impressi dal Diavolo sul corpo delle streghe. Di conseguenza, Caterina viene denudata in aula, controllata e depilata, rivestita con un camicione e portata nella sala delle torture. Con le mani dietro la schiena, le legano i polsi a una lunga corda che arriva a una carrucola posta al soffitto. Il Giudice decide il numero degli ‘squassi’, cioè quante volte debba essere tirata su con uno scatto violento e poi fatta ricadere all’improvviso verso il pavimento. Il peso del corpo ricadendo le provoca slogature dolorose delle braccia. I giudici le chiedono di rinunciare al Diavolo e di confessare di avere imparato l’arte della stregoneria dalla nonna. Lei rifiuta e viene riportata in carcere.

VENERDI 22 FEBBRAIO 1697

Chiamato a testimoniare, il Podestà Lanfranchin dichiara che essendo molto malato aveva chiamato Caterina che aveva grattugiato un po’ di noce moscata su un uovo e glielo aveva fatto mangiare, e che proprio per questo lui era guarito. Caterina nega. I magistrati ordinano che le sia inflitta altra tortura con squassi e lei, con le ossa rotte invoca di essere calata a terra. Per evitare altre sofferenze ammette di avere rinnegato Dio su richiesta della nonna, che poi le aveva impresso due marchi demoniaci sul corpo “in presenza del Diavolo vestito di turchino”. E confessa un ‘maleficio’: quattro anni prima ha fatto inciampare Andrea Tosi in mezzo a una strada guardandolo di traverso.

Troppo poco, per il Giudice, deve confessare altro: ordina ulteriori torture con squassi e preannuncia la condanna a morte di Caterina. La famiglia può così finalmente assumere un avvocato difensore: se riuscirà a farla assolvere, l’accusata salverà il proprio patrimonio e potrà pagare spese e avvocato. Se sarà condannata il patrimonio verrà confiscato e pagheranno i parenti. Alla giovane viene concesso anche di indossare un vestito perché è inverno e lì in montagna fa freddo (nell’immagine incisione d’epoca).

GIOVEDI 28 FEBBRAIO 1697

Caterina, col corpo devastato, firma la confessione. A norma di legge i giudici dovrebbero infliggerle la condanna al rogo, ma il suo avvocato chiede la ‘grazia’ perché lei era una ragazzina inconsapevole quando la nonna l’aveva ammaestrata. I Giudici accolgono la richiesta di grazia e mutano la sentenza: niente rogo, le verrà staccata la testa dal busto, così il suo corpo potrà essere ricomposto e sepolto.

LUNEDI 4 MARZO 1697

Informata della sentenza di morte, Caterina spaventata ritira la confessione dichiarandosi innocente. I giudici le fanno presente che se continuerà a negare, dovrà essere sottoposta a ulteriori torture con squassi. Convocano il Carnefice, che conferma di aver trovato i segni del Diavolo sul suo corpo e confermano definitivamente la sentenza di morte confiscandole il patrimonio. Alla chiusura del processo durato 55 giorni i parenti dovranno pagare le seguenti spese: udienze, merende e vino bevuto dai giudici, avvocato, guardie e servitori vari, visita del corpo, viveri e panni per coprirla, lumi e legna per riscaldare gli ambienti, assistenza religiosa, trasporto fino al patibolo non potendo lei arrivarci a piedi perché resa invalida dalle torture, zappa e badile per scavare la fossa al cimitero.

Sul patibolo, con le braccia legate dietro la schiena, Caterina dichiara per l’ultima volta di non conoscere l’arte della stregoneria e di non avere commesso nessuna delle colpe per cui è stata condannata. Poi si piega sul ceppo e il Boia le recide la testa con l’accetta. Nel verbale dell’esecuzione si legge però che Caterina è stata abbruciata.

Gli studiosi odierni ipotizzano che abbruciata sia stato scritto per errore. Ma il Cancelliere che scrisse quella parola era stato presente all’esecuzione, il che fa pensare al finale peggiore. Proclamandosi innocente perfino sul patibolo, Caterina aveva accusato i giudici di decisione ingiusta. Irritati dal suo comportamento, i magistrati decisero sul posto di infliggerle anche il rogo per ridurre il suo corpo in polvere e fumo.

ELIO GALASSO