E' accaduto a Pago Veiano... C'era una volta il grandioso Palazzo Marchesale Cultura

Di Palazzo Tavini abbiamo già detto (https://www.realtasannita.it/articoli/cultura/ecco-la-triste-storia-di-due-palazzi-storici-lasciati-morire.html), purtroppo la stessa sorte toccò, in Pago Veiano, al palazzo Marchesale, che noi ricordiamo benissimo al centro della piazza, allocato, posizionato dunque strategicamente di fronte alla chiesa di San Donato, sull’altura della collina, che domina imperioso la valle sottostante del fiume Tammaro.

Ad essa era congiunto il famoso cavalcavia, che collegava l’imponente mastio con la chiesa, demolito, ovviamente, insieme al palazzo con cui faceva corpo unico, attraverso il cavalcavia, in ponte cittadino, urbano insomma, di cui ancora oggi si possono osservare le spallette di appoggio formate da solidi blocchi di pietra squadrata e bucherellata, posti sul lato sinistro del tempio sacro, a perenne ed imperituro ricordo di quanto allora si innalzava maestoso da lì a poca distanza. Oggi, sul sito in argomento, s’innalza la nuova sede del Comune.

Detto Palazzo Marchesale, fu danneggiato dal terremoto del 21 agosto del 1962, come anche l’altro palazzo storico dei Sabetti, dirimpettaio ad esso. Posizionato dove attualmente sorge la piazzetta, attigua alla chiesa, con aiuolette, fioriere ed alberelli perimetrali. Dopo diversi anni, con decreto d’urgenza si arrivò alla demolizione di entrambi. Di essi ormai non vi rimane più alcuna traccia. Solo i bene informati, per rimembrare le vestigia del palazzo Marchesale, possono far ricorso alla propria memoria e peraltro possono ammirare il basamento portante del cavalcavia.

Di esso, una mega foto, che tutti possono osservare, fa ancora bella mostra di sé nel bar della piazza principale, posta sul lato destro di chi vi accede per rimembrare la memoria storica e collettiva di qualcosa di bello e di sontuoso che un tempo sorgeva là, con contiguità immobiliare.

Una riflessione immediata ci urge fare. Il decreto di abbattimento fu emesso in assenza della Soprintendenza delle Belle Arti e dei Beni Culturali, allora non era stata ancora istituita. Si pensi bene se fosse stato vincolato, se la sua demolizione non fosse stata decretata. Si poteva riconsolidare, ristrutturare, restaurare anche con contribuiti statali ed europei. Si pensi a quale magnifica attrazione turistica Pago Veiano poteva fregiarsi e vantare.

Si pensi ancora a cosa è accaduto di magnifico, di sorprendente per il Castello di Circello che da pochi anni ristrutturato è stato riportato agli antichi splendori ed oggi è meta incessante di turisti ed escursionisti provenienti anche dall’estero.

Sin dalla nostra infanzia, quando ci recavamo in Pago Veiano, restavamo incantati, basiti da cotanta bellezza architettonica. Vedevamo dal vivo cosa osservavamo sullo schermo cinematografico e alla televisione quando venivano trasmessi film con sfondo storico, soprattutto ambientati nel Medioevo. Le fortezze, che avevamo osservato sullo schermo, a Pago Veiano, ne avevamo una a portata di mano, la potevamo ammirare con tutta la sua bellezza da vicino e poterla toccare persino. Non ne conoscevamo la storia.

Sapevamo che veniva denominato castello Marchesale. Un tempo, poi non tanto lontano, vi abitavano i marchesi, sino alla fine degli anni Venti, inizi degli anni Trenta del Novecento; poi vi aveva continuato ad abitare don Giuseppe Orlando, fino alla prima metà degli anni Cinquanta. Lo marchese, così veniva appellato affettuosamente dai suoi concittadini, era stato adottato dai marchesi proprietari dell’immenso maniero fortificato, sostenuto da robusti bastioni in blocchi di pietre, che fortificavano quasi tutto il perimetro murario, irrobustendo le pareti esterne, gonfiandole in fase ascendente, per consolidarlo ancor di più.

I genitori adottivi di don Giuseppe, non avevano avuto figli. Sapevamo che don Giuseppe Orlando, era originario di Pietrelcina, per parte della mamma proveniente dai Crafa, era amico di Padre Pio, e durante le vacanze estive veniva a Pietrelcina, ospitato da parenti, soleva frequentare le funzioni religiose, che si tenevano presso la parrocchia della Madonna della Libera, quindi, dopo la messa vespertina soleva passeggiare con tutti i religiosi del paese: don Salvatore Pannullo, parroco, padre Bernardo Masone, don Nicola Caruso, don Ciccio Masone, padre Clemente e, pensate un po’ con chi, con l’allora giovanissimo Padre Pio, di cui divenne amico fidato e confidente particolare.

Pensate che, a questo dinamico ed intraprendente sacerdote, il futuro Santo stigmatizzato di Pietrelcina affidò pratiche scottanti per l’autorizzazione e per la successiva costruzione del Convento dei Frati Cappuccini di Pietrelcina e dell’annesso Seminario Serafico, come, in San Giovanni Rotondo, di Casa Sollievo della Sofferenza. Don Giuseppe Orlando, ‘u marchese, si poteva fregiare di alte conoscenze, presso la curia arcivescovile di Benevento, in quella cardinalizia di Napoli e in Vaticano, agiva, oseremo oggi dire, da faccendiere professionista.

Era la marchesa Emma Caracciolo, sua mamma adottiva, a fargli aprire porte, a fargli salire scale di palazzi dove venivano esercitati potere e politica importanti, “fu prima dama di compagnia della regina Margherita di Savoia (N.d.A. moglie del re Umberto I)”, così ci riferisce la storica Lucia Gangale, originaria di Pago Veiano.

Difatti, quando, per conto di Padre Pio, curava faccende burocratiche e amministrative, spesso lo si vedeva in Pietrelcina.

Frequentava la famiglia Silvestri, si ricorda ancora quando, una sera della festa della Madonna della Libera, con i suoi parenti, tra cui avvenenti signorine, lo si vide esporsi da un balcone del palazzo Silvestri intento ad ascoltare il concerto bandistico ed ad osservare il passeggio, e chi vi passeggiava. Intanto e tuttavia, checché se ne dica, Padre Pio a lui si affidava per le sue maniere spicciole, dirette, tipiche di un avvezzo faccendiere. Era pratico, sbrigativo e allo stesso tempo diplomatico, e quando le circostanze lo permettevano, soleva essere persino galante. Tante volte ci chiedevamo queste cose.

Pensavamo alle amicizie e alle conoscenze dei suoi genitori, i marchesi Emma Caracciolo e Ferdinando de’ Girardi, che avevano intessuto un po’ ovunque e un po’ con tanti personaggi influenti stretti rapporti, lo avevano adottato, perché privi di prole. Difatti, così agiva, e così eseguiva alla perfezione disposizioni impartitegli, così concretizzava e realizzava. Alla presenza di don Peppino Orlando, e di altri religiosi del posto, il giovane Padre Pio profetizzò, passeggiando per le Grialie, l’attuale viale Cappuccini, la costruzione della chiesa della Sacra Famiglia e dell’annesso Seminario Serafico: “Sento suoni di campane e canti di voci angeliche!”.

A ragguagliaci in merito, a svelarci la vera storia del palazzo Marchesale di Pago Veiano, ci ha pensato la giornalista Lucia Gangale, che già nel passato si era soffermata sulla tematica in argomento attraverso le colonne di Realtà Sannita. Il colpo di grazia lo ha dato, lo ha inferto, metaforicamente parlando, con la storia della marchesa Emma Caracciolo, pubblicata sul numero di fine maggio 2020, della stessa testata, onde va il nostro plauso per i particolari salienti e determinanti a quanto nel tempo andavamo ricercando. Nel recente passato, la Gangale ha anche denunciato l’assenza di lungimiranza da parte degli amministratori del tempo, come rappresentanti politici della maggioranza dei cittadini pagoveianesi elettori. In merito alla decisione dell’abbattimento del palazzo Marchesale, costoro, favoriti anche dall’impossibilità oggettiva degli ultimi eredi per provvedere ad opere di ristrutturazione, data l’ingente esosità economica per apportarvi opere di consolidamento, come dalla carenza, se non addirittura dall’assenza, di contributi statali a cui poter accedere.

I governanti locali, forse più interessati ed attaccati, all’abbattimento della memoria storica della classe nobiliare dominante, così tenne ad affermare la Gangale ad esprimersi su codesti: “Subalterni, che non hanno mai fatto storia, destinati a servire e a tacere!”.

Si poteva temporeggiare ancora un po’, con opere provvisorie di staticità e di consolidamento, in attesa di tempi migliori. E noi aggiungiamo, si pensi solo allo sviluppo turistico mancato, all’indotto come volano dell’economia locale, che il maniero fortificato poteva offrire in termini di attrazione turistica e di maggiore offerta ai frequentatori di Pago Veiano anche con la ristrutturazione di palazzo Polvere, poco distanziato, e della poderosa masseria fortificata di Terraloggia con la adiacente chiesetta di San Michele.

Purtroppo così non è stato. Una vera e propria occasione mancata grazie all’insipienza e scarsa lungimiranza di chi all’epoca ha governato il paese. (seconda e ultima parte)

ANTONIO FLORIO