Ennio Flaiano e il ''sapore giallo'' Cultura

Un giovane fotoreporter si accostò allo sceneggiatore dei più fantastici film di Fellini appena sceso dalla macchina e gli ripeté due volte con voce roca: “Ecco le streghette di... Benevento… di… Benevento…”. Ennio Flaiano, riconosciutolo, afferrò al volo la foto offertagli e fece un balzo indietro. Vi aveva notato due ragazze scolpite tra i rami di un albero. Sapore giallo… sapore giallo… sibilò anche lui due volte tra i denti. Inventava bizzarrie istantanee quando i ‘paparazzi’ lo avvicinavano, e quella volta si finse superstizioso.

Il fotoreporter abruzzese, andato a Roma per intervistarlo, aveva cercato di fargli una sorta di malocchio perché Flaiano lo trattava sempre da provinciale dimenticando di essere pescarese pure lui. Ma imprevista arrivò la sulfurea trovata dello sceneggiatore, che si accasciò a terra ai suoi piedi in Piazza del Popolo, come stregato per davvero. Il fotoreporter si diede alla fuga. Erano i primi Anni Sessanta.

Molto tempo dopo a Pescara, in un convegno su Flaiano e il cinema, quel fotoreporter ormai attempato ma ancora convinto di aver confuso la mente a Flaiano mi raccontò l’episodio precisando che ‘quel perfido’ allontanava in malo modo chiunque pronunciasse la parola Benevento e, prima di entrare nel Caffè Strega in Via Veneto, cuore della dolce vita del tempo che fu, mandava in avanscoperta qualche amico ‘apotropaico’ come il beneventano Guido Alberti, per eliminare ogni rischio di sapore giallo perfino nei dolciumi.

Quanto alle streghette, mi disse che si trattava di un dettaglio sulla sinistra del “grande pannello decorativo, purtroppo distrutto e dimenticatoraffigurante Le streghe di Benevento che aveva fotografato nella sala interna del Caffè Strega prima che lo storico locale venisse smobilitato. Lo rassicurai, quel bassorilievo di legno traforato, capolavoro dello scultore Pericle Fazzini, era stato donato dalla Famiglia Alberti al Museo del Sannio di cui ero Direttore: lo avevo restaurato e collocato nell’Auditorium dell’Istituto perché continuasse a “emanare incantesimi”. Lo invitai a venire a rivederlo a Benevento.

Non l’avessi mai fatto, da superstizioso qual era ribaltò la proposta: “Venga piuttosto lei nella mia città, e non in tempo d’estate. Conoscerà un ortaggio invernale che quando arriva a un metro di altezza i contadini piegano e ne conficcano sotto terra la cima, per farlo gonfiare di umori teneri. Lo cuciniamo nel brodo di pollo con polpette e qualche pinolo della nostra pineta. Si chiama cardone”.

Rimasi curioso del cardone pescarese, ma prima che facessi domande il giornalista se ne andò accennando appena al saluto, per non toccare una mano beneventana.

ELIO GALASSO