Il grido spezzato Cultura
Sui muri delle vecchie carceri, i rinchiusi, da tempo immemore hanno lasciato segni del loro passaggio: chi utilizzando colori per dipingere scene di vita vissuta, chi con una forchetta o semplicemente con una candela spenta, possiamo osservare ancora oggi, espressioni di innocenza e talvolta anche di pietà religiosa.
Anche la Rocca dei Rettori, un tempo carcere dal 1586 fino al 1865, sembra aver lasciato un briciolo di memoria di un “detenuto”.
Per strana ironia della sorte, entrando nella sala espositiva e museale della Rocca dei Rettori, oggi denominata sezione “Uomini eccellenti”, su di una pietra angolare troviamo inciso, forse con un chiodo di fortuna, la dichiarazione, purtroppo monca nel finale, di un certo: IO Abb. FRANCESCO PASTORE DI SANT’ANGELO A CUPOLO (foto).
La parola abbreviata Abb., a parere di chi scrive, potrebbe tradursi come Abbate,ovvero il titolo riconosciuto al superiore di una comunità monastica, che un tempo particolarmente presente erano nella città di Benevento.
Perché l’Abbate Francesco Pastore, si trovava nel carcere della Rocca dei Rettori?
Una spiegazione possibile, la si può ricercare nel periodo dell’occupazione napoleonica (1806-1814). L’aggregazione di Benevento alla Repubblica francese, significò incamerare le rendite ecclesiastiche, sopprimere conventi, abolire i titoli di nobiltà, ordinare la confisca di tutti gli oggetti preziosi e procedere ad arrestare gli oppositori.
Che cosa volesse dire l’Abbate iniziando l’incisione con IO, non lo sapremo mai, forse incidere l’ultimo “grido” di innocenza.
“In dubio pro reo”.
CESARE MUCCI