Il Poeta Virgilio sannita a metà, anzi di più Cultura

Virgilio era fragile, suggestionabile all’istante, corpo eanima. Se ne rendeva conto, lui che nelle Bucoliche.VIII aveva creato - non per sé - la frase Ut vidi ut pèrii, nunc scio quid sit Amor.

“Appena ti ho vista mi son sentito morire, ora so cos’è l’Amore”. È il colpo di fulmine, una espressione divenuta immortale. Quando arrivava in vista del Taburno, e gli capitò più volte, veniva preso da malinconie e sensazioni di tristezza vedendolo deforestato durante le Guerre Puniche per costruire navi da guerra. Dai Romani come lui? Potrebbe sembrare che dipendesse dalla sua passione per la natura, ma in realtà provava l’emozione trasmessa da quella catena montuosa ai beneventani, che dalla propria città la vedono da millenni nelle forme di Dormiente del Sannio: una donna distesa supina che porge il benvenuto a chi arriva e un arrivederci a chi se ne va.

Quando vi passò nel 37 a.C. con Orazio, Mecenate ed altri, sostò nella Villa di Cocceio presso Bonea, proprio sul fianco della Dormiente (Orazio, Satira I.5). Più avanti, trascorse una notte con quel panorama sullo sfondo a Benevento, dove con gli amici affrontò l’incendio nella cucina della cosiddetta ‘Taverna di Orazio’. Infine raggiunse Brindisi. Al ritorno a Roma, lui che quasi niente ha scritto di sé svelò nelle Georgiche la sua malinconia, in maniera sibillina: “Che gioia sarebbe rivestire di ulivi il maestoso Taburno”. Un desiderio rimasto irrealizzato, il Taburno è ancora povero di verde su tutto il versante sudest lungo la Via Appia, diversamente da come appare sul lato nordest lungo la Via Latina o Telesina. Non soddisfatto di avere sottolineato la bellezza sottratta al Taburno, ma sapendo che molti lo conoscevano, il Poeta si prese una rivalsa personale nell’Eneide.XII

raccontando il duello tra Enea e Turno: i due leggendari eroi “sembravano due feroci tori del Taburno. Impresse così quel nome osco-sannitico nel mito della fondazione di Roma.

Perché Virgilio, intellettuale ‘romano’, aveva nella mente e nel cuore il Sannio da sempre odiato dai Romani? Superando gli stereotipi, può dircelo soltanto ciò che di ‘non romano’ abitava in lui, anche se la generale romanizzazione di quei tempi lascia svanire le differenti provenienze dei massimi autori in lingua latina: Tito Livio da Padova, Catullo da Verona, Properzio da Assisi, Ovidio da Sulmona, Cicerone da Arpino, Lucrezio da Pompei, Orazio da Venosa, Tacito dalla Gallia Narbonense, Seneca da Cordova in Spagna, Terenzio addirittura dalla acerrima nemica Cartagine…

Se si indaga la formazione giovanile di ciascuno di loro emergono i segni diversi delle loro culture, dei modi di esprimersi, delle consuetudini, dei rapporti, degli affetti originari, fondamentali per conoscerli nel profondo. E per comprendere noi stessi, loro eredi.

Le particolari emozioni avvertite da Virgilio, nato nel 70 a.C. presso Mantova nella Gallia Cisalpina, non si spiegano soltanto con le esperienze fatte dal Poeta insieme al padre Marone Figulo, un agricoltore e allevatore di api che gli trasmise amore per la natura ispirandogli la scelta dell’apicultura quale tema centrale del Libro IV delle Georgiche. Bisogna ricorrere ai poco noti reperti archeologici che parlano di una concreta ‘sanniticità’ presente in Virgilio. Imprescindibili sono le epigrafi che ricordano la ‘gens’ a cui apparteneva sua madre, Màgia Polla, che insieme ai due figli già avuti lo accudì durante l’infanzia e lo accompagnò nell’adolescenza per farlo studiare a Cremona e a Milano. È necessario chiedersi quanto lo commuovessero i ricordi della vita infelice da lei vissuta da ragazza, e come lui guardasse se stesso, Publius Vergilius Maro, di carnagione bruna, come indica il soprannome Maro (color castagna). Del mondo materno agricolo e pastorale tipico del Sud Italia infuse il sapore nei personaggi delle Bucoliche impegnati in coltivazioni e allevamenti di greggi, dediti al canto sul suono del flauto, a commentare gioie e dolori quotidiani.

Com’è noto, le donne di epoca romana non avevano un nome personale ma solo quello della loro ‘gens’, la famiglia ampliata da parenti di sangue o acquisiti, da liberti e schiavi. Per identificarle si aggiungeva un soprannome. La madre di Virgilio aveva il nome Màgia della sua ‘gens’ e il soprannome personale Polla che la paragonava a una sorgente di acqua pura. Il termine Màgia derivava da Maèsius, nome osco-sannitico del mese di Maggio dedicato a Màia dea della fertilità e dell’abbondanza. Quella ‘gens’ proveniva dal Sud Italia.

Altre testimonianze precisano che era originaria del Sannio Irpino, appartenente cioè al più meridionale dei quattro gruppi etnici dei Sanniti confinante con la Lucania. Nel volume intitolato Samnium and the Samnites (Cambridge University UK 1967) ne dà conto Edward T. Salmon, massimo specialista del Sannio antico, sottolineando la centralità di Maleventum che prima di essere romanizzata era la città più importante dei Sanniti Irpini. Gli altri tre gruppi erano i Sanniti Carricini nel basso Abruzzo, i Sanniti Pentri nell’attuale Molise e i Sanniti Caudini nell’area del Taburno. Salmon fa riferimento al noto storico Velleio Patercolo (19 a.C.-31 d.C.) nato ad Aeclanum (Mirabella Eclano) e appartenente a sua volta alla gens Màgia in quanto discendente da Minazio Màgio, aristocratico sannita irpino.

La migrazione della famiglia Màgia non fu un caso raro. Basti ricordare quel che accadde dopo la Battaglia di Porta Collina nell’82 a.C., in cui i Romani di Silla distrussero completamente l’esercito dei Sanniti guidato da Ponzio Telesino in marcia su Roma: 8000 morti in battaglia, 3000 prigionieri trascinati in catene al Campo Marzio e uccisi con una crudele dimostrazione di ferocia, Ponzio Telesino decapitato. L’appropriazione romana dell’intero Sannio provocò dolorosi trasferimenti di famiglie nel Nord Italia, che offrì generosa accoglienza e spazi di condivisione delle capacità creative. Specialmente l’area di Milano, Cremona e Mantova dove nacque Virgilio. In quei territori sono stati rinvenuti ireperti archeologici relativi alla gens Màgia.

Caratteristica, nei Musei Civici di Brescia, la Stele funeraria di Casalpoglio del I secolo a.C. alta quasi due metri, fatta erigere al tempo del poeta Virgilio da Publio Màgio Manio per sé, per la moglie Asselia Sabina e per altri familiari: V.P. MAGIUS MANI SIBI ET ASSELIAE M.F. SABINAE UXORI.

Di maggiore effetto è la Stele funeraria di due esponenti della gens Màgia, forse soci proprietari di una bottega di fabbri, ritratti mentre si stringono la mano su un rilievo simbolicamente ornato in alto da un martello e da tenaglie.

Esigenze di studio indussero poi il giovane Virgilio a trasferirsi da Mantova nel centrosud della Penisola. E risiedendo a Roma e a Napoli attraversò più volte il Sannio lungo l’Appia. A causa di una sconosciuta febbre, o ‘per un colpo di sole’ secondo una allusiva tradizione antica, morì cinquantunenne il 21 settembre del 19 a.C. a Brindisi nel Salento (allora detto Calabria) al ritorno dalla Grecia, dove era andato a verificare questioni relative al mitico viaggio di Enea. Venuta meno l’ultima occasione di rivedere la terra originaria, fu portato a Napoli. La tomba ritenuta sua si trova nel Parco Vergiliano dietro la Chiesa della Madonna di Piedigrotta, non lontano dall’amato Sannio dove Maèsius, il nome osco-sannitico del mese di Maggio e della sua ‘gens’, ha dato origine anche agli attuali cognomi meridionali Maio, Di Maio, Maggio, Maggioni, Maiorana, Maiuri…

ELIO GALASSO