In cammino verso la divinità Cultura

Un bel po’ di secoli fa si pagava per accedere all’aldilà. Ci credevano tutti, ma non tutti disponevano anche di una sola monetina da collocare nella bocca o sul corpo del familiare defunto per evitare che il suo spirito restasse in eterno nella vacuità paurosa di una selva oscura, come raccontano Aristofane e Virgilio. Né tutti i morti pronti a pagare riuscivano a salire nella barca di Caronte per farsi traghettare nell’Ade, oltre il fiume Acheronte. Dante lo immaginò infuriato, la loro lentezza gli faceva perdere denaro (Divina Commedia, Canto III dell’Inferno):

Caron dimonio, con occhi di bragia

batte col remo qualunque s’adagia.

Nel Museo del Sannio pensavo agli agricoltori che recuperano nelle campagne le monete ‘inutilizzate’. Pur sapendo che per legge sono patrimonio dello Stato, qualcuno, convinto di avere in tasca un tesoretto, veniva a chiedermi: “Un mio conoscente trovò un dischetto di metallo, lo pulì ed ecco la fotografia, cosa dice la scritta?”. Poi sottovoce: “quanto vale?”. Appena ne indicavo l’antichità e lo scarso valore commerciale, restava incredulo.

Diverso il rapporto con docenti e studenti nella Sezione Didattica del Museo dove, tra l’altro, si insegnava che di una tomba archeologica non va toccato né spostato nulla. Non basta infatti recuperare il contenuto, è fondamentale verificare prima la tipologia e l’orientamento della sepoltura, la posizione della salma, la collocazione di ogni oggetto rispetto ad essa.

Acquisire questi e altri dati è materia da specialisti di varie discipline che scoprono condizioni di vita, consuetudini, valori spirituali, ideologie trasmesse attraverso i secoli. Tra i giovani affiorava comunque una domanda maliziosa: gli oggetti di valore collocati nelle tombe servivano per corrompere il traghettatore?

Notevoli approfondimenti furono possibili quando la Soprintendenza per i Beni Archeologici consentì di esporre al pubblico un eccezionale reperto affidato da anni al Museo del Sannio. Proveniva dalla Necropoli di Caudium, Montesarchio, tomba n. 483,V-IV secolo a.C. devastata dalla costruzione di un edificio moderno. Il teschio teneva stretta tra i denti una Laminetta d’oro di circa cm. 17x6. Priva di una epigrafe, a differenza di quelle etrusche o di Magna Grecia che citano Mnemosine, dea della Memoria, bastava il bagliore delle sue 29 zigrinature a indicare che era offerta in voto esclusivamente alla divinità. L’oro, metallo inalterabile, esprimeva fiducia nella immediata purificazione dello spirito del defunto.

La Laminetta aurea di Caudium è esposta oggi nel Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino, dopo avere stimolato a Benevento studi multidisciplinari dei dettagli di corredi funerari: per esempio sul significato delle uova raffigurate nelle scene di banchetti funebri o realisticamente posate intorno al morto come simboli del principio della vita e della sua continuità in senso psico-biologico.

Vissuti prima di noi, i morti ci precedono ma poi ci seguono con i ricordi richiedendo attenzione. Corpi e reliquie si veneravano negli edifici sacri. In anni lontani mi arrivò una telefonata al Museo del Sannio: “C’è una vecchia casetta fracassata proprio dove dobbiamo costruire, in Via Valfortore a poca distanza dal fiume Calore. Venga a vederla prima che la eliminiamo” (foto - Benevento, Parking Sidersan).

Accorsi, era una struttura in pietra e laterizi di fattura medievale, con un ingresso a doppio arco ostruito da un muro in terriccio di epoca successiva nel quale gli operai avevano aperto una fenditura verticale. La penombra internalasciava intravedere residui di intonaco decorati a stelle su fondo blu, caduti sul pavimento. Urgeva verificare se fosse una tomba monumentale. La Soprintendenza di Salerno Avellino Benevento, a cui chiesi se ne fosse a conoscenza, rispose:“La struttura è di uso ignoto”. Per fortuna bloccò i lavori. Poche settimane dopo tornai sul posto ma dalla fenditura non vidi più le tracce della decorazione parietale stellata. Si stavano dissolvendo per l’umidità.

Sospettando un antico abbattimento intenzionale del piccolo edificio, avviai ricerche archivistico-bibliografiche e lo identificai con la Chiesa di San Marciano che appare già in rovina nella Pianta di Benevento del 1764 pubblicata da Stefano Borgia nel vol. II delle sue Memorie Istoriche della Pontificia Città di Benevento. Presso l’arco di ingresso evidenziato nel disegno si legge la didascalia: “Chiesa diruta di San Marciano nella quale nell’anno 1156 Papa Adriano IV diede al Re Guglielmo l’investitura della Sicilia, del Ducato di Puglia e Capua”. Nello stesso volume del Borgia la Chiesa di San Marciano è disegnata, sempre col suo arco, nella Pianta di Benevento incisa da Ignazio Lucchesini. Quel che rimane dell’edificio è dunque testimonianza di un evento straordinario, il Trattato di Benevento del 18 giugno 1156 che sottrasse definitivamente il Sud Italia all’Impero Bizantino.

La diffusione del culto di San Marciano in età longobarda mi induce a ritenere che la Chiesetta, visibile verso nord da tutta la collina su cui la città si affaccia sulla valle del fiume Calore, sia stata costruita per accogliere il corpo del Santo Martire Marciano traslato da Frigento a Benevento nel secolo IX. Essendo stata sede del predetto riconoscimento attribuito dal Papa Adriano IV al sovrano normanno e quindi ritenuta simbolo del potere papale, si spiegherebbe la distruzione intenzionale da me sospettata, avvenuta forse durante l’assedio del 1241, quando l’imperato re svevo Federico II  fece radere al suolo mura e architetture della città pontificia. A tutt’oggi nessuna esplorazione della forma della chiesetta, degli arredi e del corpo del Santo!

La paura della vacuità e il bisogno di perpetuarsi oltre la fine terrena dominano gli esseri umani più di ogni altro pensiero o sentimento. A Ponte presso Benevento, mentre esaminavo i resti votivi di un santuario di epoca ellenistico-romana da poco scoperto, mi hanno detto che ancora oggi qualcuno depone centesimi di euro nella bara senza sapere perché. Persone così sensibili resterebbero confortate leggendo le poetiche raccomandazioni dei familiari a una donna defunta, incise sulla laminetta d’oro trovata a Vibo Valentia, l’antica Hipponion sul versante tirrenico della Calabria:

Cara, non fermarti alla fonte dell’oblio presso il cipresso bianco perché bevendo quell’acqua dimenticheresti la vita passata con noi e rinasceresti estranea in un corpo nuovo. Prosegui fino alla fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne, Dea della Memoria e madre delle Muse, che ti consentirà l’arrivo nel luogo delle beatitudini per ricongiungerti con la divinità. Ai custodi che ti chiederanno che cosa stai cercando rispondi: 

Sono figlia della terra e del cielo stellato

ELIO GALASSO