La Dormiente del Sannio e Marcoffio: pareidolia beneventana Cultura

Un osservatore che si ponga ad ammirare il panorama beneventano dal belvedere posto nella parte alta del Viale degli Atlantici, guardando verso la Valle del Sabato sottostante, alla sua destra, verso Nord-Ovest potrà osservare sullo sfondo il massiccio montuoso del Taburno-Camposauro, che quasi sembra congiungersi con l’altro complesso montuoso, quello del Partenio, che delimita il paesaggio della Valle verso Est. La Valle del Sabato appare quasi come l’orchestra di un gigantesco teatro, mentre i monti, che la contornano quasi per tre quarti, si possono assimilare alla cavea. In questo ideale teatro, la città di Benevento corrisponderebbe perciò alla scena.

È solo guardandola dalla ideale scena del teatro beneventano che il profilo del complesso montuoso del Taburno-Camposauro appare come una gigantesca donna che giace supina; a questa creatura di pietra, il popolo beneventano ha dato il nome di Dormiente del Sannio. Essa, al pari del Resegone comasco di manzoniana memoria, contraddistingue la Valle Beneventana, segnandone l’ingresso all’altezza di Solopaca, per chi viene da Nord, o all’altezza di Montesarchio, per chi viene da Sud.

Nella bella schematizzazione realizzata da A. Rapuano e reperibile sul sito www.altervista.org, si osserva che il capo dell Dormiente con la chioma disciolta coincide col Monte Pentime, che domina su Solopaca, mentre Monte Caruso di Foglianise corrisponde a una ciocca di capelli che le copre il collo, il tronco è costituito da Pizzo Cupone, l’addome da Camposauro, le cosce da Serra Ceraso, le gambe e i piedi corrispondono al Taburno.

A darci l’impressione di vedere una sagoma femminile è la pareidolia, la capacità istintiva che ha il nostro cervello di ricomporre in schemi o collegamenti, dati che sono invece casuali. Un esempio di tale atteggiamento inconscio sono le figure che gli antichi immaginavano di vedere nelle disposizioni degli astri, cioè le costellazioni. L’immagine umana è costantemente riconosciuta dal nostro cervello, che è codificato per questa attività. Così ci sembra di riconoscere un volto umano anche nella luna piena, anzi nella tradizione beneventana quel volto ha addirittura un nome: Marcoffio. “Pare Marcoffio ‘nt ‘a luna”: sembra Marcoffio nella luna.

Grazie alle cosiddette macchie lunari, ci sembra di scorgere un volto sulla superficie del nostro satellite. A Benevento si apostrofa così qualcuno che abbia un bel viso grasso e paffuto, da luna piena appunto. L’espressione, con varianti dialettali, la troviamo un po’ dovunque in Italia.

Il nome Marcoffio dovrebbe derivare da Marcolfo, protagonista di racconti popolari medievali, un contadino brutto e rozzo che contappone la sua saggezza sarcastica e trasgressiva a quella solenne ed elevata del famoso re Salomone. Il contrasto tra i due personaggi era argomento di numerosi componimenti di cui si ha notizia sin dal X sec., tra i più antichi si annovera un poemetto tedesco del 1190, Salman und Markulf, e versioni in latino del XV sec. come il Dialogus Salomonis et Marcolfi. Più tardi questa serie di aneddoti diede aorigine al personaggio di Bertoldo, contadino saggio e dotato di sarcasmo, che sfida il potente re longobardo Alboino e che è divenuto anche una figura letteraria, grazie a Giulio Cesare Croce, alla fine del Cinquecento.

PAOLA CARUSO