L'arte non è ''puro sfizio'' Cultura

Studenti universitari all’uscita dalla Mostra della Donazione Crespi, in questi giorni al Museo Diocesano di Milano con decine di opere d’arte sfavillanti di oro zecchino: “Per realizzare quei capolavori con materiali tanto preziosi gli artisti si facevano certamente pagare a caro prezzo. Una didascalia spiegava che Masaccio incassò ben 80 fiorini d’oro per la sua famosa Crocifissione…”. Dei costi della grande produzione artistica del Rinascimento italiano quei ragazzi evidentemente non avevano mai sentito parlare. Nelle scuole, e non solo, si dà per scontato che gli artisti siano stati sempre pagati con generosità. Qualche dubbio in proposito me lo ha espresso soltanto un giovane ‘street artist beneventano: “Ma quali soldi, noi artisti da sempre pittiamo per puro sfizio”. Ignoranza o ingenuità?

L’arte costa, ma non al punto da costringere a rinunciare ad essa. C’è dunque da chiedersi perché a Benevento, fatta eccezione per la Porta di bronzo del Duomo commissionata dalla Curia Arcivescovile nel lontano Duecento, non siano stati mai acquisiti importanti capolavori d’arte durante gli otto secoli di governo pontificio, seguiti al dominio longobardo che a sua volta in cinquecento anni ha lasciato soltanto la Chiesa di Santa Sofia di alto livello qualitativo. Pontefici e Sovrani, Arcivescovi Cardinali ascesi al soglio papale, Governatori e nobili di tradizione, intellettuali e politici non hanno mai commissionato per la città costose opere di pittura e scultura, pur disponendo fra l’altro dei cospicui incassi doganali con i transiti di grano dalla Puglia verso Napoli e di importazioni marittime dal Medio Oriente verso Roma.

I compensi agli artisti e le relative tipologie contrattuali dovrebbero rientrare negli insegnamenti scolastici. Considerando quanto siano costate le opere in mostra a Milano tra la fine del Quattrocento e il primo Seicento, diventa interessante constatare che in quel periodo nel territorio papale di Benevento non si usava la moneta di Roma per pagare i progettisti di chiese, di palazzi e architetture varie, o gli autori di oggetti d’arte. Gli artisti, provenienti in prevalenza dall’area partenopea, puntualmente chiedevano pagamenti in moneta del Viceregno spagnolo di Napoli senza sapere che a Benevento si utilizzava di norma la valuta napoletana per tutte le attività quotidiane, per le tasse e il commercio. Per tale motivo non si rinvengono monete dello Stato della Chiesa in terra beneventana: di qui il mio impegno ad acquisirne esemplari per la Sezione Numismatica del Museo del Sannio, in particolare ‘piastre d’argento’ e ‘scudi d’oro coniati da Papa Paolo V (1605-1621) a cui è intestato l’antico Palazzo del Comune al Corso Garibaldi.

Le opere d’arte non venivano comunque retribuite con regolarità. Questioni finite davanti al giudice sono documentate nell’Archivio Storico Comunale, dove per esempio torna più volte la richiesta del pittore Donato Piperno di non dover sostenere le spese per sfondare la parete di casa sua per far uscire in strada nel Quartiere Triggio i dipinti commissionatigli dalla Curia locale troppo grandi per passare dalla finestra. Al di là della rilevanza degli artisti, fino a tutto il Settecento il prezzo di un dipinto si calcolava inoltre in base al numero delle figure. E, se la somma concordata non veniva poi saldata, l’autore aveva diritto a cancellarvi immagini a sua scelta. Tale consuetudine a volte migliorava però le scene paesaggistiche e gli atteggiamenti dei personaggi rimasti. Un Ciclo di Lezioni della Sezione Didattica del Museo del Sannio lo dimostrò con il confronto ravvicinato tra due opere di Francesco De Mura (1696-1782) prestate dal Museo Nazionale di Capodimonte: con le sue poche figure la sacra scena definitiva apparve assai più elegante del suo bozzetto ricco di personaggi esposto accanto.

Difficili rapporti contrattuali con i committenti ebbero due grandi maestri: il citato “Masaccio”, cioè Tommaso di Ser Giovanni di Simone Cassai (1401-1428), e Michelangelo Merisi detto “Caravaggio” (1571-1610). Masaccio non indicava subito un prezzo probabile, da aumentare o diminuire poi in base alla complessità del progetto finale. Chiamato a dipingere un tema, si concentrava sulla creazione del bozzetto e a lungo trascurava di proporre il prezzo totale, rischiando la revoca dell’ordinazione da parte del committente. Anche Caravaggio conviveva a rischio con i soldi, non meno che con le ragazze e i… ragazzi.

Lo raccontano in dettaglio le fonti del suo tempo, a cominciare da quella che lo dice nato non a Caravaggio, una trentina di chilometri a sud di Bergamo, bensì a Milano dove visse il suo primo amore. Lei si chiamava ‘Peppa’, abitava in Via Anfiteatro Romano presso il Parco Sempione ed era povera. Lui le promise di sposarla e di darle ricchezze, pur non possedendo granché. Finì per scappar via inseguito dai fratelli della ragazzina milanese, e prendersi per amante Francesco Boneri, noto come ‘Checco, poi diventato il modello dei suoi nudi maschili. Arrivato a Roma nel 1592, Caravaggio fu ospitato da Pandolfo Pucci, un furbo Canonico di San Pietro, che promise di comprare i suoi quadri a denari d’argento, ma invece pagava con “insalata per antipasto, pasto, postpasto, companatico e stecco”. Tenuto a stecchetto, l’artista ventenne sognando il tenore di vita dei suoi già tanti estimatori abbandonò il Canonico definendolo Monsignor Insalata” e si mise in proprio. Il suo nuovo finanziatore fu Ottavio Costa, un banchiere ligure proprietario con lo spagnolo Juan Henriquez de Herrera della banca più accorsata di Roma. Lì avvenivano i pagamenti al Caravaggio. Pochi anni fa, tra le carte di quella Banca passate nell’Archivio di Stato di Siena, è stato trovato il documento in cui è registrato il pagamento per il San Giovanni Battista oggi nel Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City USA (foto):

Il dì 21 maggio 1602. Io Michel’Angelo Marrisi o riceuto di più dall’Ill.re Sr. Ottavio Costa a buon conto d’un quadro ch’io gli dipingo venti schudi di moneta questo di 21 maggio 1602. Io Michel’Angelo Marrisi.

Scritto a mano da Caravaggio in modo sgrammaticato, compreso il suo cognome, ci parla di una somma enorme.

Altro che ‘puro sfizio’ il lavoro creativo dei grandi geni dell’arte…

ELIO GALASSO