Leonardo da Vinci e la ''Leda'' di Benevento Cultura

Messaggi apparentemente indecifrabili parlano intorno a noi, avvertiva Leonardo da Vinci. L’uomo deve imparare a cogliere l’impalpabile, l’effimero nella realtà. “Quando osservi qualcuno - scrisse negli Appunti - fa’ in modo che non se n’accorga, altrimenti i suoi movimenti, il suo riso e il suo pianto non saranno naturali”.

Agli scritti e alle opere d’arte affidava a sua volta segnali per stimolare le intelligenze ad impegnarsi senza timore: “volenti nihil difficile est”. Gli studiosi li cercano e li interpretano nei suoi capolavori, invece non ne sospetta minimamente l’esistenza chi va a sfilare con i minuti contati davanti alla Gioconda… al Cenacolo… Convinto che i pensieri danneggiano chi li spiattella in pubblico preferiva incuriosire canticchiando per le strade canzonette allusive, proporre indovinelli, inventare storielle con sottintesi, barzellette piccanti, lui filosofo autorevole, scienziato, artista sommo.

Ignorate nelle scuole, tante notizie della sua quotidianità lo farebbero conoscere e amare assai di più. Un Codice della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, datato al 1540 appena due decenni dopo la sua morte, ricorda che Leonardo aveva fino a mezzo il petto una bella capellaia inanellata et ben composta, portava un pitocco rosato, corto sino al ginocchio mentre allora si usavano vestiti lunghi”.

Non ci restano immagini del geniale Artista, né a figura intera né a mezzobusto, e forse non è di sua mano nemmeno il celebre Autoritratto conservato nella Biblioteca Reale di Torino. Ma non si nascondeva affatto, utilizzava la lingua dei segni come risposta alla domanda di Socrate citata da Platone nel Cratilo: Se non avessimo né voce né lingua e volessimo manifestarci le cose, non cercheremmo forse di significarle con le mani, con la testa e con le altre membra?”.

Raccontava se stesso con i suoi i capelli lunghi, con la… minigonna rosa. Stramberie significanti.

Complicato è ottenere in studio i manoscritti originali di Leonardo da Vinci, ancor di più leggerli per chi non è uno specialista paleografo, perché personalizzava i caratteri gotico-umanistici, creava abbreviazioni anomale e scriveva come gli arabi da destra verso sinistra con la mano mancina, ‘la mano del diavolo’. Qualcuno ha ipotizzato che sua madre, di nome Caterina secondo un registro catastale d’epoca, fosse la ‘schiavetta amorosa’ di origini arabe che nel 1451 suo padre trovò nella casa ricevuta per testamentoda un ricco amico defunto. Sta di fatto che dopo un anno in quella casa nacque Leonardo. Ma forse scriveva in senso inverso per proteggere i suoi pensieri. A volte gli bastava rovesciare soltanto qualche parola, come in questo bizzarro appunto:

Truova ingil, dilli che tu aspetti amorra

e che andrai con seco ilopanna

Cioè: Trova ligni, digli che tu aspetti a Roma

e che andrai con lui a Napoli.

Analista critico della cultura greca, decise di raccontare a modo suo in una tela il mito erotico di Leda, la regina di Sparta svegliatasi una mattina tra le carezze di un enorme cigno. Il dipinto andò perduto, ma per fortuna un allievo talentuoso ne aveva copiato la scena fin nei dettagli su un delicatissimo foglietto di carta custodito oggi a Benevento nel Museo del Sannio (nell’immagine).

Tante le richieste di prestito che arrivavano da tutta Europa quando ero Direttore del Museo del Sannio, ma ne accolsi soltanto una: lo inviai alla grandiosa mostra Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma tenutasi nel 1983 nelle Gallerie di Capodimonte e a Palazzo Venezia. A condizione che fosse esposto in penombra, per evitare danni di luce. Antico di cinque secoli, il prezioso disegno offre suggestivi messaggi criptati del Maestro.

Ed eccola dunque lì l’affascinante Leda, nuda tra erbe e fiori, con qualche ricciolo ricadente, in piedi in un angolino sulla sponda di un corso d’acqua. Una regina non poteva essersi addormentata in un posto del genere, ma Leonardo preferì ambientare la scena in uno spazio naturale per moltiplicare gli elementi e giocare a nascondino.

Il mito racconta che Leda non sapeva che il cigno fosse Zeus, il re degli dei mimetizzatosi per prenderla con facilità. Assurdo, obiettò Leonardo, perché qualunque donna se ne sarebbe accorta, e con piacere. Perciò la presenta con il braccio destro in primo piano mentre finge di fermare l’impeto dell’uccello/dio, ma intanto con movenze sinuose lascia che la sua ala destra le avvolga il bacino.

Avevano trascorso insieme una notte d’amore, non era più il caso di sfuggire. Anzi, a guardarla con attenzione, col braccio sinistro in secondo piano Leda tira a sé il cigno per sentirne ancora le morbide piume sul proprio corpo e lo provoca con un pizzico al collo col pollice e l’indice.

A chi conosce la conclusione del mito Leonardo svela l’arcano nel groviglio in basso a sinistra, dove la regina ha deposto due…uova che si sono schiuse mettendo al mondo i figli concepiti con il cigno/Zeus: Càstore e Pollùce, Elena e Clitennestra, due coppie di gemelli che diventeranno famosi.

Né finiscono qui gli enigmi del disegno beneventano. Difficile non far caso alle onde circolari in basso.Una di esse si sta avvolgendo proprio sotto il piede sinistro di Leda. Lei se ne accorge e per sottrarsial risucchio del vortice solleva un po’ la gamba segnalando così all’osservatore la minaccia, dipinta peraltro in primissimo piano. Il vortice è una trappola avvolgente, un nodo simbolico da decifrare, allude al vincolo tra chi ama e chi è amato, all’amore carnale tra Zeus e la giovane regina di Sparta ormai imprigionata per sempre nel mito.

Il ‘nodo’ era un assillo per Leonardo, un elemento carico di significati a cominciare da quello dell’ombelico umano all’origine della vita, da lui studiato nelle ricerche di anatomia che gli procurarono fama di mago e contrasti con la Chiesa. Simboleggiava poi i legami tra le persone, gli animali, le cose, fino al nodo irreversibile del destino di morte.

Il nodo è demoniaco. Per una casualità davvero strana il disegno leonardesco della Leda ha incontrato proprio a Benevento il Nodo del peccato.

Nella sede monumentale del Museo del Sannio, al centro della Colonna 40 del Chiostrodi Santa Sofia, un ignoto scultore medievale modellò nel XII secolo un nodo maligno, una volta tanto non irreversibile dato che, lungo il percorso salvifico della decorazione scultorea del chiostro si scioglie nella duplice Colonna tortile della quadrifora successiva.

Per Leonardo i segreti non si devono scrivere, neppure all’incontrario, basta segnalarli con nodi enigmatici. Nel suo più grandioso e studiato dipinto parietale, visitato da milioni di persone, ne collocò due. Sono grandi, eppure nessuno li nota. Decorativi solo in apparenza, pendono ai due lati della candida tovaglia distesa sul tavolo del Cenacolo, nel refettorio del convento adiacente al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Contengono e delimitano la scena dell’ultimo incontro tra Cristo e gli Apostoli, come sfida ai “miseri mortali” che non provano ad “aprire gli occhi”.

ELIO GALASSO