L'ex cimitero di Santa Clementina Cultura

La pratica di seppellire i propri morti ha origini molto antiche, basti pensare che le prime sepolture risalgono all’epoca del tardo paleolitico.

Ciò che noi oggi chiamiamo “cimitero”, in altri momenti della Storia e in diversi luoghi, poteva essere definito dolmen, necropoli, piramide o catacomba, ma era pur sempre un luogo di sepoltura per il culto dei morti.

Questi cimiteri, posti in gallerie sotterranee, erano realizzati sempre al di fuori delle città perché la legge romana vietava per motivi igienici e religiosi la sepoltura all’interno dei centri urbani.

Le catacombe furono costruite soprattutto fra il II e il V secolo dopo Cristo per accogliere le salme dei primi cristiani, ma ospitavano anche pagani ed ebrei.

La sepoltura sotterranea inizia a essere abbandonata in concomitanza con l’affermazione del Cristianesimo e verrà completamente accantonata nel IX secolo quando fu permessa la sepoltura all’interno della città.

In epoca medievale si diffuse l’usanza di consentire le sepolture all’interno delle chiese e nei loro spazi circostanti consacrati.

La motivazione per cui vennero scelti questi nuovi luoghi di sepoltura era la vicinanza delle salme alle reliquie dei santi e dei martiri. Si diffuse, quindi, la pratica di seppellire personaggi importanti o comunque di classe agiata sotto i pavimenti della chiesa, posti di maggior prestigio perché più vicini al santo, generalmente posto sotto l’altare.

Molte famiglie nobili disponevano di una propria cappella all’interno della chiesa, in cui si potevano riporre le spoglie della casata dopo il pagamento della “quarta funeraria”.

Nel medioevo questo aggio, che si pagava per ottenere una sepoltura degna del defunto, rappresentava una fonte di guadagno non indifferente per il clero e non di rado era causa di contrasti tra le varie parrocchie o confraternite.

Tutti gli altri credenti erano seppelliti nell’area circostante la chiesa, in fosse comuni, dalle quali periodicamente le ossa venivano traslate negli ossari.

I cimiteri per come li conosciamo oggi prendono forma a seguito dell’emanazione dell’Editto di Saint Cloud da parte di Napoleone Bonaparte nel 1804, applicato in Italia dal 1806. L’Editto di Saint Cloud, infatti, è stato un atto fondamentale per la nascita dei moderni cimiteri, passando alla storia come il primo provvedimento per la regolamentazione delle sepolture. Da tempo, infatti, si avvertiva la necessità di individuare una soluzione ai problemi igienico-sanitari che derivavano dalla decomposizione delle salme nelle chiese.

Con l’Editto, quindi, venne vietata qualsiasi sepoltura in chiese, sinagoghe, templi e in qualsiasi luogo all’interno della città. I cimiteri dovevano essere costruiti fuori dalle mura cittadine, distanti almeno 35-40 metri, possibilmente su terreni soleggiati e arieggiati. In virtù dei principi egualitari della Rivoluzione Francese, inoltre, le tombe dovevano essere tutte uguali.

Con la caduta dell’impero napoleonico, cadde anche il divieto di personalizzare tombe e lapidi. Soprattutto la nuova classe borghese nascente, che non aveva cappelle gentilizie, spinse il potere politico a lasciare margini di libertà nella scelta e nella costruzione di tombe e lapidi. Proprio in Francia, nella prima metà dell’Ottocento, nacquero i primi cimiteri monumentali, di cui il Père-Lachaise di Parigi può essere considerato il primo esempio di cimitero abbellito da monumenti e grandi sculture.

I cimiteri monumentali sono, a ragione, considerati dei veri e propri musei a cielo aperto e ormai fanno parte del patrimonio artistico e culturale di diversi paesi europei, dall’Austria alla Spagna, dalla Scandinavia all’Irlanda, con l’Italia che rappresenta il paese con il maggior numero. Sviluppatisi soprattutto nell’Ottocento, furono da subito innalzati da intellettuali, poeti e artisti a luoghi di contemplazione e riflessione sulla vita e la morte, trasformandoli in luoghi di grande fascino.

Come abbiamo già anticipato il Père-Lachaise di Parigi è il cimitero più visitato al mondo, mentre i maggiori cimiteri monumentali italiani sono: Il Cimitero Monumentale Vantiniano a Brescia, che è il più antico d’Italia; Il Cimitero Staglieno di Genova ed Il Cimitero Monumentale di Milano.

Oggi, i cimiteri e le pratiche di sepoltura sono sottoposti a una rigida disciplina giuridica nell’interesse generale della salute e dell’igiene pubblica.

Le aree destinate ai cimiteri devono, infatti, essere distanti almeno 200 metri dalle abitazioni o edifici; avere un’estensione superiore almeno 10 volte lo spazio necessario per le inumazioni di un anno; essere recintate da un muro alto almeno 2,50 metri; essere zone prive di roccia e di acque sino a 2 metri di profondità ed essere approvate dal Prefetto.

Benevento, invece, non ha un cimitero monumentale ma comunque ha una storia cimiteriale abbastanza particolare. Appena fuori le mura, sorge la chiesa di Santa Clementina, dall’omonimo quartiere che ha legato la sua storia a quello del precedente cimiero cittadino.

Chiamata, precedentemente, Santa Maria di Gerusalemme, probabilmente, la chiesa originaria era stata impiantata in un vecchio edificio romano in mattoni. Essa affaccia sul percorso della via Appia antica, nell’ultimo suo tratto prima di entrare in città attraverso il ponte Marmoreo o Leproso. Le vicende note della chiesa iniziano nel 1764, e riconfermano il carattere cimiteriale della zona.

La carestia e il dilagare della peste, in quell’anno, costrinsero il Capitolo a portare fuori città i tanti defunti che, di norma, avrebbero ancora dovuto trovare sepoltura entro le mura. E così la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme, che già si trovava in posizione seminterrata, fu riempita delle salme dei beneventani, e quindi murata.

Ristrutturata, in seguito, nel 1824 ospitò le reliquie di una tale santa Clementina, riesumata dalle catacombe di San Callisto a Roma e così ebbe la denominazione attuale. Lo spazio adiacente e restrostante alla chiesa fu utilizzato a Camposanto che rimase attivo fino all’Unità d’Italia, e anzi nel 1837 esso accolse le centinaia di vittime di un’epidemia di colera che si propagò, ancora una volta, in città.

Dopo la chiusura si pose il problema della sepoltura dei cari e iniziò una discussione per individuare una nuova zona o ampliare quella in questione. Dagli atti dell’Archivio storico Comunale è possibile riscontrare la discussione per il nuovo cimitero. Nella seduta del 16 maggio 1862 furono discussi vari progetti elaborati da tempo ma mai portati avanti. In quella sede, invece, l’attenzione ricadde su un progetto che “concilia la deficienza dei mezzi con la necessità della formazione del Camposanto”. Si decise, allora, di procedere all’acquisto di una estensione di terreno e di recintarlo. Di costruire una Cappella e di proibire la sepoltura dei cadaveri in altro luogo che non fosse il Camposanto. Si decise anche di obbligare, di conseguenza, le Confraternite e le Corporazioni religiose ad acquistare il suolo ed il diritto di sepoltura.

L’idea del Consiglio era quella di trarre dalla vendita il prezzo da pagare per il terreno, mura di cinta e Cappella; in sostanzasi trattava solo di anticipare la spesa per l’acquisto e operare la rateizzazione alle Confraternite. Per l’occasione furono individuati l’arch. Pasquale Zoppoli, Giuseppe Manciotti e Ignazio De Julis, i quali insieme alla commissione sanitaria ebbe il compito di esaminare i diversi progetti.

Per non gravare ulteriormente sulle casse, già esangui, del Comune però, si decise di ricorrere ad un prestito, i cui interessi, però, avrebbero ancora di più aggravata la situazione finanziaria. Per evitare ciò si decise di inserire anche gli interessi nelle vendite alle singole Confraternite del suolo e del diritto di sepoltura.

Nella seduta del 30 ottobre dello stesso anno, però, passi in avanti non se ne registrarono ed allora il sindaco Celestino Bosco Lucarelli, che successe a Pietro De Rosa, primo sindaco dell’Italia Unita, ritornò sull’argomento prendendo come modello il caso di Napoli per individuare un sito idoneo. La sua idea era quella di ampliare l’allora attuale cimitero di Santa Clementina in quanto già utilizzato per il periodo del colera del 1837, quando, provvisoriamente, venne destinato lo spazio restrostante la Chiesa e precisamente la zona verso la Granpotenza.

A tale riguardo fu nominata, ancora una volta, una Commissione da affiancare all’architetto comunale costituita da Ignazio De Julis, Pietro Capasso, Salvatore Rampone e Marzio Orsolupo con lo scopo di ottenere l’approvazione della proposta e confermare la zona utilizzata provvisoriamente, riattivando in questo modo il vecchio cimitero dopo la chiusura per il colera.

Meno di quindici giorni dopo, per la precisione il 12 novembre, dalla Commissione fu presentata al Consiglio una dettagliata relazione dalla quale si evinse che già altre commissioni istituite precedentemente, quella sanitaria in data 18 gennaio 1861, avevano studiato il caso addirittura fin dal 1849 individuando la zona di “terra rossa” che però risultò essere di natura argillosa. Così come furono esclusi anche altri luoghi individuati, sempre per caratteristiche negative del terreno.

La Commissione suddetta, invece, presentò un quadro positivo per l’ampliamento di quello di Santa Clementina tenendo in conto anche le considerazioni storiche (la morte di Manfredi).

Sembrava essere fatta per l’ampliamento del vecchio cimitero anche perché la relazione vide tutti favorevoli, ed invece l’idea, evidentemente, di costituire un cimitero in pendenza e la natura del terreno non convinse i componenti delle Commissioni successive che vagliarono altri progetti tra cui quello del nostro attuale cimitero.

ANTONIO D’ARGENIO