''50 anni di Democrazia Cristiana nel Sannio'': la presentazione il 5 maggio presso il Teatro de La Salle di Benevento Eventi
Il cattolico e il comunista.
Roberto Costanzo, nato a San Marco dei Cavoti nel 1929 e dove, orgogliosamente, ha mosso i primi passi di quella che è stata una lunga e brillante carriera politica nella Democrazia Cristiana ricoprendo, tra l’altro, le cariche di consigliere comunale e provinciale, assessore regionale all’Agricoltura ed europarlamentare, nonché dirigente Coldiretti e Presidente della Camera di Commercio di Benevento.
Antonio Coletta, classe 1958, di Paupisi ma residente a Telese Terme, una laurea in Storia e Filosofia conseguita presso l’Università di Napoli con il prof. Giuseppe Galasso, uomo di sinistra convinto e una moltitudine di esperienze lavorative che spaziano dall’insegnamento, alla cinematografia, dalla grafica alla pubblicità.
Due uomini, due mondi apparentemente lontani che si sono incontrati per dare vita ad un libro “50 anni di Democrazia Cristiana nel Sannio”, edito da Realtà Sannita, andando così a colmare un vuoto storiografico della nostra provincia.
Aspettando la presentazione ufficiale al grande pubblico che si terrà il prossimo 5 maggio, presso il Teatro Comunale de La Salle di Benevento, ci siamo intrattenuti con gli autori in una lunga e interessante intervista/conversazione.
Piccolo spoiler: “50 anni di Democrazia Cristiana nel Sannio” non è solo il primo volume edito da Realtà Sannita in questo 2025, ma è anche il 182° libro che va ad aggiungersi al ricco e prestigioso Catalogo delle omonime Edizioni volute fortemente nel lontano 1989 dal compianto Direttore/Editore Giovanni Fuccio.
E così - anche per onorare la sua memoria ed ottemperare ad uno dei suoi ultimi desiderata - abbiamo completato in questi giorni l’intero Catalogo delle Edizioni Realtà Sannita, comprensivo di tutti i libri editi dagli albori fino ai nostri giorni, e che presto verrà stampato in numerosissime copie.
Il libro è scritto a quattro mani, ma chi ha avuto l’idea e poi l’ha proposta all’altro?
Coletta: “L’idea di questo volume nasce da un caso un po’ fortuito. Mi ero rivolto all’onorevole Costanzo, perché volevo fare un qualcosa per ricordare il medico Alessandro Coletta, democristiano di Paupisi e primario al reparto di Ginecologia dell’Ospedale Civile di Benevento. Così, cercando notizie sulla Democrazia Cristiana mi sono reso conto che, praticamente, non c’era niente di organico sulla storia della DC nel Sannio, al contrario, invece, quando andavo a cercare notizie sulla DC avellinese trovavo tantissimo materiale. A questo punto ho proposto all’on. Costanzo di scrivere un libro, giacché lui è un testimone che ha attraversato tutte le fasi della Democrazia Cristiana sannita, dalla nascita sino alla sua fine, e debbo dire che Costanzo ha accolto subito la mia idea con molta disponibilità, forse perché anche lui avvertiva questa mancanza”.
Perché un libro sui 50 anni della DC nel Sannio?
Coletta: “La Democrazia Cristiana non solo è stato il partito che per mezzo secolo ha segnato la storia d’Italia e nello specifico del nostro territorio, ma la DC rappresenta essa stessa un pezzo di storia. Nel Sannio beneventano è stato sempre il primo partito, fondamentalmente, tranne nel 1946 quando non fu il primo partito a Benevento città, ma nella provincia sì, dove lo è sempre stato, dall’inizio alla fine. In sostanza, abbiamo colmato o quantomeno provato a colmare un vuoto storiografico”.
Quanto tempo ci avete messo per scriverlo?
Costanzo: “Giusto un anno e mezzo. In questo lasso di tempo ci siamo incontrati oltre cento volte, la maggior parte intorno al tavolo di casa mia a Benevento e una quindicina di volte nella mia casa di San Marco dei Cavoti. Quindi il libro è nato dal confronto non solo tra i pensieri di noi due, ma anche da quello che Antonio Coletta è riuscito a ricavare dai vari archivi, andandosi a leggere documenti, carteggi, articoli, rassegne stampa e via discorrendo”.
Come si divide il libro e a chi è rivolto?
Coletta: “Il libro si divide in alcune parti fondamentali, ovvero, abbiamo cercato di enucleare nella prima sezione i padri fondatori, Bosco Lucarelli per esempio, insieme a tutti gli altri, fino ad arrivare agli anni ’70; poi c’è il segmento dedicato alle dinamiche interne alla DC sannita, divergenze e convergenze, le prime scosse degli anni ’70 e quella crisi che in seguito si conclama negli anni ’80 ed infine esplode con la fine del partito negli anni ’90, senza dimenticare la parte dedicata alle varie competizioni elettorali.
Costanzo: “Il libro è rivolto innanzitutto ai giovani che non hanno conosciuto ed hanno soltanto sentito parlare della Democrazia Cristiana in maniera spesso distorta, ed è anche rivolto a chi ha conosciuto la DC e sente il bisogno di leggere e riscoprire un po’ della sua memoria.
Le giovani generazioni che non hanno conosciuto la DC quali insegnamenti possono trarre da questo libro?
Coletta: “La politica non è un fatto empirico, semplicemente gestionale della cosa pubblica, una politica fatta così, che non ha idee forti di fondo, che non ha radici, che non ha una filosofia politica di base è una politica destinata ad avere un respiro molto corto. Se noi oggi osserviamo tutti quelli che si agitano sullo scenario del Centro e parlano del Centro lo fanno perché pensano che la Democrazia Cristiana sia stato un partito che era molto votato perché prendeva un po’ di Destra e un po’ di Sinistra, metteva le due anime politiche insieme e dunque vinceva le elezioni: assolutamente non è così. La DC vinceva le elezioni perché era un partito non di Centro, ma centrale nel nostro sistema politico, in quanto aveva alla base una filosofia politica, cioè delle radici del suo pensiero politico profondissime, che partivano addirittura da prima del pensiero politico liberale. Fare politica per fare cosa? Questo i giovani di oggi, compresi coloro che parlano di Centro, dovrebbero porsi come problema. Di fronte ai grandi temi e ai grandi problemi del nostro tempo, c’è da capire come affrontarli concretamente senza scadere nel populismo”.
Dal vostro angolo di visuale, il libro dà più risposte o solleva più interrogativi?
Costanzo: “Diciamo, il “vecchio” degli autori forse pensava di dare qualche risposta, immaginandosi le domande, ma il libro - e qui c’è l’influenza dell’altro autore - più che dare risposte credo che provochi, non tanto delle domande, quanto delle attese, cioè attese nella società in cui non c’è più la DC”.
Presidente Costanzo, lei aveva 15 anni quando è nata la DC nel Sannio e da quell’età è iniziata la sua militanza, conclusasi poi nel 1994. Quali ideali, princìpi e personaggi la colpirono subito, tanto da farle scegliere di appartenere a questo partito, diciamo ancora in tenera età?
Costanzo: “Mi colpì subito Bosco Lucarelli col suo modo quasi vescovile, lui era un nobile, un barone, ma era anche molto credente e praticante e noi ragazzi, e non solo ragazzi, gli baciavamo la mano e poi mi colpì tanto De Gasperi, al punto che io da giovane mi sentivo un progressista, a volte anche un rivoluzionario. Fin da ragazzo le mie prime azioni politiche le ho fatte organizzando manifestazioni del mondo contadino, difatti la mia attività è stata sempre quella di sindacalista dei contadini. La mia prima vera, pubblica partecipazione fu il giorno di Capodanno del 1953, quando io al mio paese organizzai lo sciopero generale dei contadini contro l’allora sindaco liberale, il quale aveva messo la tassa di famiglia anche a chi viveva in campagna e riuscii a spuntarla, tanto che dopo 5 mesi il sindaco si dimise”.
Nell’arco di cinquant’anni quali sono stati i suoi maestri e lei, poi, per chi è stato maestro?
Costanzo: “Debbo dire che Vetrone, più che sceglierlo io come maestro, mi scelse lui come allievo ed io questo non lo dimentico mai, tant’è che nelle mie preghiere quotidiane, quando ricordo i miei genitori, accanto a loro ci metto sempre anche Mario Vetrone. Quando nel 1955 avevo bisogno di lavorare andai da Vetrone - che aveva appena costituito insieme a Bonomi la Cassa Mutua dei Coltivatori Diretti - mi recai da lui per chiedergli una raccomandazione per essere assunto e Vetrone mi disse: ‘Ma perché vuoi andare nella Cassa Mutua e non nella Federazione Coltivatori Diretti tu che hai l’aspetto di un sindacalista?’. Debbo dire che io a Vetrone avevo già chiesto una raccomandazione per l’Eni, Vetrone infatti era molto amico di Enrico Mattei e mi raccomandò a Mattei, ma evidentemente non fu una raccomandazione, diciamo, sentita… Mattei, difatti, rispose a Vetrone che in quel momento per persone come me non c’era possibilità, forse in avvenire sì, ed anche in quell’occasione Vetrone mi ripeté: ‘Ma perché vuoi andare a lavorare in una struttura fuori dal mondo agricolo?’. E fu così che io cominciai la mia carriera nella Coldiretti. Vetrone voleva tenermi con sé, però non voleva impedirmi di manifestare altre aspirazioni. Vetrone è stato il mio primo maestro, De Gasperi mi ha ispirato moltissimo, ma poi in effetti sono stato un autodidatta. Di chi sono stato maestro? Non lo so, credo che nell’ambiente della Coldiretti qualcuno mi avrà pure seguito, ma più che fare il maestro mi sono preoccupato di fare, come dire, l’ideatore, il promotore, il conduttore di battaglie”.
Nella sua lunga carriera politica, lei ha affrontato diverse competizioni elettorali e molteplici battaglie. Quale la vittoria di cui va più fiero e quale invece la sconfitta più cocente?
Costanzo: “Sono state davvero tante le battaglie da me condotte ed anche quelle a cui ho partecipato attivamente e certamente le battaglie che ricordo come più vere ed incancellabili sono quelle legate al mondo agricolo, soprattutto negli anni ’50. Per quanto riguarda, invece, l’altra faccia della medaglia, io ho avuto solo due sconfitte politiche e tutte e due nel mio paese, San Marco dei Cavoti. Mi candidai la prima volta a sindaco nel 1960 e siccome era un paese governato da liberali e io avevo fatto una battaglia contro il sindaco liberale, di conseguenza avevo dato fastidio anche a Raffaele De Caro, il grande presidente nazionale del Partito Liberale, e quando io mi candidai De Caro capì che da solo il suo partito non avrebbe potuto vincere e così organizzò una lista tra liberali e comunisti, candidando sindaco un esponente del Partito Comunista di Benevento, che in realtà non era neanche sammarchese ma di Castelpoto, Camillo Maio, una persona molto perbene, ed io fui battuto.
Anni dopo, siamo nel 1980, mi ripresentarono perché la Democrazia Cristiana sul piano locale stava cadendo in difficoltà, sebbene ci fosse stato per quindici anni un sindaco democristiano, molto amico mio, e allora pensarono di candidare me. Io un anno prima, nel 1979, alle Elezioni Europee a San Marco avevo preso 2.000 voti, bene, l’anno dopo quando mi candidai da sindaco presi 1.000 voti, giusto la metà. Fui sconfitto per la seconda volta, sempre da un esponente del Partito Comunista, ma stavolta del mio paese, il professor Diodoro Cocca. Io dico che in quelle due mie sconfitte ci fu l’apprezzamento dei miei concittadini per me, perché capirono che io sbagliavo a candidarmi come sindaco, capirono che non potevo fermarmi a fare il sindaco e per fare quello che poi ho fatto nella mia carriera politica provinciale, regionale, nazionale ed europea dovevo sì tenere nel cuore il paese, ma non potevo chiudermi a fare il sindaco”.
Perché è finita la Democrazia Cristiana? Troppa sete di potere e prebende di alcuni o la fisiologica conclusione di un partito?
Coletta: “Partiamo dal presupposto che non ci può essere una conclusione fisiologica di un partito. In quel momento non finisce solo la DC, ma tutti i partiti che in un certo qual modo avevano gestito il potere in Italia, vale a dire, il Partito Socialista, il Partito Liberale, il Partito Socialdemocratico, mentre il Partito Comunista era già finito. I democristiani, come la maggior parte degli esponenti degli altri partiti, adducono la loro scomparsa all’azione dei magistrati del pool di “Mani Pulite” e questa, diciamo, è la verità che immediatamente appare. Io, però, mi chiedo: come è possibile che un partito come la Democrazia Cristiana - che nel 1990 contava più di due milioni di iscritti e che aveva più di dodici milioni di voti - sia stato messo completamente in ginocchio da un’azione, sia pur forte e aggressiva, di Mani Pulite? La risposta io non ce l’ho, ma di sicuro ci dovremmo interrogare tutti… Anzi credo che la risposta vada ricercata quando nel corso degli anni ’80 la DC si estese di molto sul piano numerico, ma si restrinse tanto sul piano della coerenza e del pensiero politico. Tant’è che Costanzo, ad un certo punto, in un Congresso del 1986 disse una cosa molto semplice: ‘La tessera del partito deve essere un ticket di ingresso e non una carta di credito a vita’. Tutti parlavano della crisi del sistema politico, ma nessuno poi andava alla radice del problema”.
Quando la Democrazia Cristiana è giunta al capolinea, che sentimenti avete provato?
Costanzo: “La Democrazia Cristiana - come partito, come struttura - non mi sono meravigliato che finisse, perché tutto finisce e un partito impostato come la DC non poteva reggere in eterno. Io democristiano lo sono ancora, anche senza la Democrazia Cristiana, e dico che bisogna trovare un nuovo modo di essere, di stare e di agire dei cattolici in politica. Ciò non significa che può rinascere la DC. Certo mi dispiacque moltissimo, ma il partito - con la caduta del muro di Berlino - non ha saputo rinnovarsi, adattarsi ai nuovi tempi e prevenire il cambiamento che ci sarebbe stato in Europa”.
Coletta: “Se la DC fosse finita venti anni prima, quando io ero un ragazzo, avrei fatto i salti di gioia, ma allora ero molto giovane e il mio giudizio era molto superficiale. Nel 1994, avendo vissuto un po’ di più e avendo forse capito alcune cose, quando è morta la Democrazia Cristiana il mio sentimento è stato di grande preoccupazione e questo perché capivo che sarebbe venuto meno il baluardo della politica rispetto allo strapotere dell’economia, come poi, purtroppo, è stato”.
ANNAMARIA GANGALE