Addio a Donatella Raffai, la conduttrice dal cuore sannita In primo piano

La mattina dell’11 febbraio a Roma, nella chiesa del Preziosissimo Sangue in Via Flaminia, l’addio all’autrice e conduttrice televisiva Donatella Raffai che si è spenta dopo una lunga malattia a settantotto anni ed è ancora ricordata con straordinario affetto da milioni di telespettatori sebbene mancasse dal piccolo schermo dall’ormai lontano 2000.

Il suo nome si lega infatti indissolubilmente a Chi l’ha visto?, programma che condusse sin dalla prima edizione andata in onda su Rai Tre il 30 aprile del 1989 quando, nell’epoca della tv-verità e della tv-del dolore, rappresentò uno dei pionieristici esempi di tv-utile e le valse nel 1990 la vittoria del Telegatto e dell'Oscar TV come personaggio televisivo femminile dell’anno.

Lo stile impeccabile, l’eleganza, il piglio deciso spesso in contrasto con la delicatezza, e l’umanità, nonché la voce pacata e un po’ roca erano le peculiarità di Donatella Raffai, quelle che il pubblico apprezzò allora e che oggi rimpiange nel confronto con la tv attuale di qualità sempre più modesta.

«Era una televisione diversa, di un altro livello. Di alto livello. Una televisione fatta con amore e con rigore di cui Donatella è stata e continua ad essere un modello» - sottolinea Luigi Di Majo che l’affiancò nella conduzione di Chi l’ha visto? nella seconda e terza edizione - mentre tantissime maestranze della Rai ne ricordano con un velo di tristezza l’esempio e gli insegnamenti “sul campo”.

I giornali, le tv e i social hanno dato ampio risalto alla sua scomparsa, ripercorrendone le tappe professionali e tracciandone un ritratto biografico a cominciare dalla nascita avvenuta l’8 settembre 1943, nella data storica dell’armistizio, a Fabriano, in provincia di Ancona dove i suoi genitori si trovano per motivi legati alla guerra in atto in quanto suo padre, l’Ammiraglio Antonio Raffai - all’epoca comandante dei cacciatorpedinieri Velite, Pigafetta e Pancaldo - è impegnato in operazioni militari a La Spezia.

Donatella, nata sette anni dopo il fratello Alberto, è la secondogenita di Antonio Raffai e di Maria Jelardi, figlia del Generale Carlo, medico della Regia Marina che in questi anni è direttore degli Ospedali militari di Pola, Taranto e Napoli e che, alla fine del conflitto, riunirà poi la famiglia al suo paese d’origine: San Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento.

«I giornalisti continuano a scrivere che mia madre era marchigiana, e io mi arrabbio», dice la figlia, «perché lei era tanto orgogliosa delle sue origini meridionali»; a San Marco, infatti, presso gli amatissimi nonni materni Carlo e Ida, Donatella Raffai trascorre tutte le estati negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e vi abita inoltre per un intero anno frequentandovi le scuole medie.

È un legame saldissimo sottolineato con commozione anche dal regista ottantottenne Silvio Maestranzi, che le è stato accanto per trent’anni e che aveva sposato l’anno scorso: «Non ho mai avuto occasione di venire a San Marco, eppure so tutto di quel periodo della vita di Donatella, della sua famiglia, dell’amatissimo “nonnino”. Lei ne parlava sempre, soprattutto dopo esserci tornata nel 1997 quando venne riaccolta in occasione di un grande evento. Mi raccontava ad esempio degli zii che andavano a caccia, ma quando poi a tavola veniva servita la selvaggina o anche un semplice pollo, lei si rifiutava di mangiare e si rifugiava nel pollaio standosene lì per ore a pettinare le galline. Tante volte le ho detto di scriverli questi ricordi di gioventù che portava nel cuore. Purtroppo non mi ha mai dato ascolto, ma io - sapendo di questo suo fortissimo legame - la prima cosa che ho fatto quando Donatella se n’è andata è stata quella di dare la notizia al sindaco di San Marco. Purtroppo la comunicazione mi è tornata indietro».

L’amministrazione in questo periodo è commissariata, spieghiamo a Maestranzi, ma lo rassicuriamo che i sammarchesi hanno ovviamente appreso della sua scomparsa e la ricordano con immutato affetto: «Da giovanissima ho conosciuto Donatella», scrive ad esempio Elena Costantini, «in un’estate ma non saprei dire di quale anno. Estati indimenticabili. Di sera nell’androne del palazzo Jelardi seduti sui sacchi di grano…».

«La ricordo bene quando d’estate veniva con la famiglia dal nonno, col fratello Alberto ed i genitori; ricordo in particolare il papà Ammiraglio Raffai, con la candida divisa», afferma invece la preside Anna Colarusso che, come tutti i compaesani, ebbe modo di riabbracciarla quando nel settembre 1997, come si è detto, Donatella Raffai tornò a San Marco e dopo quasi trent’anni di assenza rivide tanti vecchi amici e l’amata casa al civico 1 di Corso Garibaldi.

La invitò l’allora sindaco Francesco Cocca come madrina della Settimana dell’Emigrante in onore del manager americano Lee Iacocca figlio di emigrati di San Marco: «Partecipò a tutta la manifestazione», ricorda l’ex primo cittadino, «lasciandosi immergere nelle sue origini sammarchesi con grande gioia. Posso dire di aver conosciuto una persona davvero straordinaria». All’evento intervennero anche Maurizio Costanzo, Antonio Rastrelli, Nicola Mancino e Maretta Scoca, mentre Donatella moderò il dibattito pubblico in piazza in occasione di un convegno dedicato ai manager d’impresa e che precedeva l’esibizione della Banda della Polizia di Stato.

I sammarchesi applaudivano soprattutto lei. «Predisponemmo per gli ospiti un rimborso spese» racconta l’onorevole Roberto Costanzo, «e fui io stesso a farglielo presente, ma lei oppose un secco rifiuto. Non volle una lira. “Quello che faccio lo faccio per San Marco!”, mi disse».

Nell’amato paese, in un futuro prossimo, ci sarà senza dubbio modo per renderle omaggio, ma intanto nelle ore del ricordo si ripercorrono ovviamente i suoi tanti successi iniziati a sedici anni quando - ragazza dal carattere estroso e un po’ ribelle al rigore di una famiglia di militari - debutta come attrice nel film I dolci inganni di Alberto Lattuada nel ruolo di una studentessa, per poi passare a lavorare nel settore discografico per la RCA come responsabile delle pubbliche relazioni e curatrice d’immagine di Mia Martini, di Nada al Festival di Sanremo 1969 e di Claudio Baglioni al suo esordio, accanto al quale lei stessa appare nel video promozionale di Una favola blu.

Nel frattempo, nel 1965 e nel 1967, sono nati i suoi due figli Francesco e Federica dal matrimonio con Gianco poi finito con la separazione, ma nel 1971 è la volta delle prime fortunate esperienze a Radio Rai come autrice e conduttrice di Voi e io, Radio anch’io, Chiamate Roma 3131. Arriva quindi il secondo matrimonio con Fabrizio Bogianckino re dei night capitolini, rileva una quota del Piper il celebre locale notturno di Via Tagliamento e affronta la seconda separazione finché, alla fine degli anni Ottanta, diventa il personaggio di punta di Rai Tre: la grande intuizione è del direttore Angelo Guglielmi che le affida la conduzione di programmi televisivi di approfondimento e cronaca (Telefono giallo, Filò, Posto pubblico nel verde, Camice bianco) fino al quinquennio d’oro di Chi l’ha visto? dal 1989 al 1994 in cui la Raffai incolla allo schermo fino a otto milioni di telespettatori trattando casi passati alla storia come quello di Ferdinando Carretta, che uccise tutta la sua famiglia, e di Santina Renda che a soli sei anni sparisce nel nulla a Palermo.

Autrice dei libri Chi l’ha visto?, (Eri, 1990) e Scomparsi (Rizzoli, 1991), si cimenta anche in nuovi programmi per le reti Rai (Parte civile, 8262, Filo da torcere, Anni d’infanzia, Lasciate un messaggio dopo il bip) conservando intatto il suo stile serio, impeccabile, talvolta crudo eppure mai distaccato, tant’è che Antonio Ricci - patron di Striscia la notizia anche lui con origini sannite a Circello - conia per lei l’efficace definizione «Una donna che gronda umanità da tutti gli artigli».

Dietro il volto professionale si cela però anche un’altra Donatella più allegra, spigliata e spiritosa, che nel 1997 si cimenta nel ruolo di inviata di Domenica in e che, con spiccata autoironia, posa per un servizio fotografico di Gente Mese dedicato alle coppie impossibili scegliendo come partner Lino Banfi, mentre nel 1998 partecipa al film La guerra degli Antò nel ruolo di se stessa, conduttrice di un’improbabile puntata di Chi l’ha visto?

«Il grande pubblico», sottolinea ancora la figlia Federica, «in fondo non ha conosciuto tutti gli aspetti di mia madre, e soprattutto il più divertente come quella volta che, ospite di un programma Rai condotto da Raffaella Carrà, sorprese tutti e me per prima, esibendosi in una rappresentazione sceneggiata di Zappatore assieme a Mario Merola».

L’amore per il suo lavoro e l’inflessibile professionalità che non cedeva mai al compromesso, la portarono tuttavia a lasciare bruscamente la Rai per passare a Mediaset con la conduzione di un ultimo programma dedicato alla cronaca nera, Giallo quattro, andato in onda nella stagione 1999-2000, mentre a Viale Mazzini per lungo tempo si cercò una degna sostituta, senza che nessuno riuscisse mai a cancellare del tutto il saldissimo legame tra il suo nome e Chi l’ha visto?.

Quest’ultima esperienza su Retequattro segna anche l’addio per sempre alla tv e il ritiro a vita privata accanto a Silvio, dapprima a Morlupo e poi tra la Costa Azzurra e Roma con il solo desiderio di starsene in pace e di farsi dimenticare, anche se i giornalisti non hanno mai smesso di cercarla e il suo pubblico - silenziosamente ma tenacemente - ha continuato ad amarla e a rimpiangerla.

Ventidue anni dopo, nel giorno del funerale, quell’affetto è ancora intatto: tra la gente una signora anziana chiede di sorvegliarle il carrellino della spesa lasciato davanti alla porta della chiesa giusto per il tempo di una preghiera, mentre sul sagrato ci sono tanti ragazzi ormai adulti che grazie a Donatella Raffai hanno imparato il difficile mestiere della televisione.

«Seguiremo il suo esempio, continueremo a fare quello che ci ha insegnato».

Prima che il carro funebre si allontani verso il cimitero Flaminio dove riposano anche la madre Maria e il fratello Alberto, il marito Silvio Maestranzi accarezza la bara e sussurra: «Eri una stella splendente!».

ANDREA JELARDI 

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