Cosimo Rummo a tutto campo: ''Ricerca e sviluppo come antidoto alle crisi'' In primo piano
Il settore agroalimentare italiano, motore propulsivo dell’economia italiana in piena crisi covid, è oggi invece travolto dagli eventi bellici. Facciamo il punto con Cosimo Rummo, Amministratore Delegato del noto pastificio beneventano, sulle dinamiche di mercato e le problematiche di settore. Il suo pastificio, che segue con orgoglio la tradizione familiare, ha vissuto un momento difficile dopo l’alluvione del 2015 ma la riorganizzazione aziendale ha permesso una rapida ripresa che ha consentito di accrescere la notorietà dello storico marchio e conquistare nuovi mercati. Una quota rilevante del fatturato viene realizzata all’estero con esportazioni in 58 paesi dove la pasta Rummo è sinonimo di qualità.
Quali sono gli impatti dei rincari dei costi energetici e del grano duro sulle prospettive aziendali e sulla intera filiera agricola?
La settimana scorsa l’aumento del gas-metano si aggirava intorno al 650-700%, adesso con la crisi è cresciuto di un altro 20%: siamo quindi a circa 10 volte in più. Una situazione davvero drammatica, pazzesca. L’azienda cerca di intervenire ma alla fine siamo costretti a caricare sul nostro prodotto base finito: la pasta. Stiamo cercando di portare al minimo l’aumento ma non vendiamo borse di lusso bensì prodotti dove incidono tantissimo i costi delle materie prime. Il grano duro è aumentato del doppio. Anche se utilizziamo il 100% di grano duro italiano per le farine, per poter fare semole biologiche integrali per la pasta classica di semola di grano duro, facciamo delle miscele con grano australiano: l'80% grano duro italiano e 20% grano importato. I prezzi del grano duro a livello mondiale vengono decisi in Canada e Stati Uniti, per poi riflettersi anche sul mercato italiano. Chiaramente se il mercato mondiale del grano duro è cresciuto del doppio, automaticamente anche il grano duro italiano risente di questi aumenti.
In provincia di Benevento insieme a Coldiretti avete sperimentato ed avviato una filiera chiusa.
Quest’anno gli agricoltori che hanno prodotto grano duro si sono trovati in una situazione vantaggiosa perché c’è stata una buona produzione in Italia e avendo visto il mercato mondiale raddoppiare, hanno venduto a prezzi remunerativi. In Canada hanno invece raddoppiato i prezzi perché c’è stata siccità, che ha compromesso il 60% del loro raccolto: per coprire i costi di produzione, che sono fissi, avendo raccolto il 40% in meno i prezzi sono più che raddoppiati. L’unica cosa negativa per i produttori italiani si può verificare nel caso in cui non abbiano conservato i semi e sono costretti a comprare i semi certificati che ora dovranno pagare più del doppio. Per l’annata attuale gli agricoltori sono in difficoltà perché i concimi sono aumentati del 300%: da 30 a 120 euro a quintale. Un altro problema serio è quello degli allevatori perché i costi dei cereali quali il mais sono cresciuti tantissimo.
Le decisioni su temi della filiera alimentare si assumono a Bruxelles. L’Italia cosa potrebbe fare?
Incentivare la coltivazione dei terreni, perché abbiamo molti terreni abbandonati e, soprattutto, investire in ricerca&sviluppo. Nel mondo ci sono tante aziende che lavorano con l’irrigazione goccia-a-goccia per non avere spreco d’acqua; investono in ricerca per migliorare la qualità del grano.
In Italia quanto grano si produce?
Ne facciamo abbastanza, ma il 40% viene importato. Da noi non ci sono tantissime produzioni di altissima qualità, tanto è vero che importiamo i grani migliori dall’Australia e dalla California, paesi dove s’investe appunto in ricerca&sviluppo. Dobbiamo iniziare ad investire di più, con maggiore metodo e maggiore attenzione, non nella ricerca pura ma in quella applicata, l’unica che garantisce concretezza.
E il ruolo della politica quale deve essere?
In Italia, per le leggi che abbiamo sul lavoro, tasse, dimensione aziendale, più l’azienda cresce più l’imprenditore è stressato. Il 97% delle aziende sono al di sotto di 13 dipendenti: a Benevento siamo al 98-99%. È necessaria una maggiore attenzione alla legislazione per le piccole e medie imprese.
Essere grandi o crescere di più diventa difficile perché abbiamo leggi come lo Statuto dei lavoratori che risalgono al 1970, un mondo che non esiste più. All’epoca l’Italia svalutava la lira e diventava competitiva, non c’era la globalizzazione dei mercati. E questo di certo non aiuta i lavoratori. Penso sia giunto il momento di sedersi ad un tavolo insieme alla parte sindacale e trovare soluzioni adeguate ai tempi, aiutando le aziende a crescere di dimensione e assumere più persone.
Noi viviamo con difficoltà la competizione del Nord Europa perché è molto più organizzato: ottiene ottime performance negli allevamenti, nelle coltivazioni... sono più bravi di noi, per cui eccellono in alcune aree. Questo vuol dire che bisogna aiutare l’agricoltura ad essere più competitiva, fare filiera. Noi siamo in filiera Italia. Servono nuove regole ed incentivi affinché si aiutino i coltivatori a produrre di più, a produrre meglio e di qualità, insomma a guadagnare di più. Solo che ancora non vi è questa consapevolezza in quanto le proprietà agricole in Italia, e ancor di più al Sud, sono molto frazionate, per cui non si riesce ad abbassare i costi fissi o fare investimenti in ricerca&sviluppo. Ecco perché alla fine c’è la necessità di mettersi insieme, produttori piccoli, medi e grandi, per iniziare ad essere più competitivi e fare maggiore quantità per ettaro, con qualità più elevate. Questo lo si fa con la ricerca, con sistemi di irrigazione.
A tal proposito mi preoccupa moltissimo ciò che si prospetta di fare riguardo alla diga di Campolattaro. Il mio desiderio è che si utilizzi la maggior parte di quest’acqua per aiutare gli agricoltori ad aumentare le rese: una irrigazione fatta in maniera scientifica in campo agricolo, porta al raddoppio delle quantità prodotte, migliorando la qualità, combattendo la siccità, quindi dando garanzie a chi coltiva. In Israele, paese molto più a sud dell’Italia, tutti i campi sono irrigati e per qualsiasi evento climatico avverso vi è la garanzia che la popolazione abbia sempre prodotti alimentari, non vi sono rischi di carestia.
Mi piacerebbe che l’acqua della diga di Campolattaro restasse da noi e che non confluisse in gran parte nelle altre province.
Se il 70% delle risorse idriche della diga probabilmente sarà destinato all’area urbana di Napoli, di fatto la quota del Pnrr riservata al Sannio dovrebbe essere significativamente aumentata altrimenti siamo di fronte ad un investimento in infrastrutture che va a beneficio della Campania nel suo complesso con dirottamento di ulteriori risorse finanziare.
Quale è il ruolo della cultura e della conoscenza per la crescita di un paese?
I successi vengono dalla conoscenza collegata alla cultura. Il mondo della scuola e dell’università deve promuovere la cultura della competizione e la cultura della conoscenza. Dobbiamo tornare ad avere scuole e università competitive, non possiamo più fare la politica di promuovere tutti, bravi e meno bravi. Oggi bisogna fare maggiore attenzione perché negli anni 70-80 le università erano molto più difficili. All’epoca si diceva che c'erano “troppi pochi laureati” ma erano ragazzi che si laureavano con grandi sforzi e impegno e soprattutto con grandi competenze. Oggi abbiamo una massa di laureati e non tutti trovano il lavoro adeguato al titolo di studio.
E il territorio sannita come deve affrontare le sfide globali per creare opportunità di crescita?
Abbiamo molte scuole e molte università che non sono radicate sul territorio. Se noi abbiamo un livello alto di qualità nella filiera agroalimentare, competitiva a livello mondiale, l’università di Benevento potrebbe creare una specializzazione nella filiera agricola. Siamo i più grandi produttori d’uva in Campania, la bandiera del food Italy mondiale, però non abbiamo una Facoltà universitaria collegata al vino, agli allevamenti, alla cerealicoltura, ai vegetali. Tanti ragazzi si laureano in Ingegneria informatica, si potrebbe pensare ad una specializzazione come Ingegneria informatica agroalimentare. Oggi con il satellite, attraverso il computer si controllano i campi, come in Emilia-Romagna, in Australia o in California. Tanto premesso, si potrebbe fare tanto di più ed avere l’umiltà di lavorare per una operazione di rivitalizzazione della cultura, dell’informazione, della conoscenza ed evitare che i giovani, non trovando spazio nella produzione di servizi e nella produzione industriale del territorio, sono costretti ad emigrare anche da laureati.
È tristissimo, gravissimo.
Un’altra cosa che dobbiamo considerare è creare luoghi piacevoli di vita, cominciare a pensare che donne e uomini, quando finiscono le otto ore di lavoro, devono poter avere una vita sociale, si devono divertire.
Se giriamo di sera, la nostra città è deserta, non perché c’è il Covid, anche prima le persone uscivano solo il sabato sera. Ritengo che c’è bisogno di “accendere il cervello”, c’è bisogno di svegliare i ragazzi, incentivare la competizione.
Abbiamo il Conservatorio a Benevento: a New York i ragazzi che suonano il violino, lo fanno in mezzo alla strada o vanno a suonare nei pub anche gratis.
Prendendo spunto dal conflitto in atto e delle ripercussioni globali, in che modo l’Europa dovrebbe affrontare questo momento così difficile?
Sono molto preoccupato per la guerra in Ucraina. La popolazione ucraina sta pagando conseguenze drammatiche e cariche di sofferenza. Gli ucraini sono stati lasciati soli a trattare con i russi e l’Europa dovrebbe sedersi al tavolo delle trattative e stimolare la Russia a raggiungere una intesa, la più equilibrata possibile. L’Europa ha messo sanzioni ed inviato armi e tutto ciò mi lascia preoccupato, l’Italia per la Russia è una nazione ostile. Spero che si addiverrà ad un momento di sintesi per rideterminare nuovi equilibri politici.