Diritto vivente e diritto morente. De iure còndito e de iure scondìto In primo piano
In una tiepida mattina di primavera nel tribunale di Vattelapesca davanti al giudice Anacleto Forbito si svolge l’udienza del processo promosso dal cliente Osvaldo Buonafede contro la Banca Aspetta e Spera S.p.A. per accertare l’esosità del mutuo stipulato e recuperare le somme indebitamente pagate.
Il giudice Forbito, da tutti conosciuto come raffinato latinista - insomma, uno fissato con il latinorum -, ha convocato le parti per tentare di concordare una soluzione e … risparmiarsi di scrivere la sentenza.
Il signor Buonafede ed il rappresentante della Banca, con i rispettivi avvocati, si ritrovano così catapultati nell’aula del Tribunale, inondata dalla luce di un bel sole, ad aspettare che il giudice li renda partecipi della proposta.
Quando arriva il loro turno si pongono davanti allo scranno del giudice, che con fare compassato riassume i termini della vicenda.
“Signori, la quaestio iuris posta dall’avvocato del Signor Buonafede riguarda la mancanza, nel contratto di mutuo, dell’indicazione del tipo e delle modalità di calcolo delle rate. Ciò comporta, a suo dire, la violazione delle norme sulla determinatezza, o determinabilità, dell’oggetto del contratto e dell’obbligo di trasparenza delle condizioni praticate. Da questa nullità deriva la sostituzione dell’interesse richiesto dalla Banca con quello, più favorevole per il cliente, indicato dalla Legge Bancaria”.
Continua:
“L’avvocato della Banca afferma, invece, che nessuna violazione sussiste perché il contratto di mutuo indica gli elementi richiesti dalla legge e vi è allegato il piano di ammortamento delle rate che precisano quale siano le quote di capitale e le quote di interessi da rimborsare”.
Dopo un sospiro aggiunge:
“La questione viene differentemente risolta dai Tribunali che ne sono investiti. Alcuni sposano le ragioni del cliente, altre quelle della Banca. Pertanto, si è richiesto al Supremo Collegio di dirimere il contrasto giuridico, indicando il principio di diritto a cui attenersi. Quindi, Signori oggi mi trovo di fronte al bivio: imboccare la strada della decisione o rinviare il giudizio aspettando la decisione della Suprema Corte? A voi la scelta”.
Il religioso silenzio che segue alla frase shakespeariana viene rotto dal Signor Buonafede che esclama:
“Non ho capito. La decisione che noi parti dobbiamo prendere è se lei deve decidere o non deve decidere? O meglio, se deve aspettare per decidere che qualcun altro decida, per poi adeguarsi. Mi sembra una commedia di Scarpetta. Per me lei è un giudice e deve decidere”.
L’avvocato, vista la reazione ingenua dell’assistito non aduso alle liturgie del processo, cerca di bloccarlo per non indispettire il giudice, e gli sussurra “Non insistete perché non sapete come oggi il giudice deciderebbe. Volete correre il rischio di un rigetto?”.
Ma Buonafede rilancia:
“Signor giudice decida come se fosse la questione sua. Come se questo mutuo fosse toccato a lei”.
“Gentile Signore - risponde il giudice - non posso essere contemporaneamente parte ed arbitro. Nell’affrontare la questione devo attenermi all’interpretazione del quadro normativo esistente. La questione è scivolosa e spesso il buon senso non coincide con il diritto. Allo stato dell’arte suggerirei alle parti di aspettare la decisione del Supremo Collegio. Però, nell’ipotesi che anche una sola insista per la decisione provvederò ad emetterla “de iure còndito”, cioè sulla base del diritto vivente, e non “de iure condèndo”, sulla base di un diritto costituendo”.
Buonafede, dopo essere stato costretto dall’avvocato ad accettare il rinvio, sul concetto espresso in latinorum dal giudice afferma:
“Non capisco se questo diritto è condito, scondito o da condire; se è vivente, deve ancora nascere o è morente. Sicuramente non sta molto bene se lei ci propone di aspettare che qualcuno altro decida. Nel frattempo continuo a pagare gli interessi stellari del mutuo, poiché, non essendo un esperto di matematica finanziaria, non ho compreso in illo tempore, come direbbe lei, che la Banca applicava condizioni a sé molto favorevoli ed a me molto sfavorevoli.
Quale professore di scuola, però, le dico che il diritto non è la matematica, per cui invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Nel diritto, se inverti l’ordine del fattore umano il prodotto cambia, e come. Cambia quello del giudice (tribunale, supremo collegio), cambia quello della parte (cliente, banca).
La cosa diviene ancor più interessante quando una delle parti sia un giudice. Come avrebbe deciso se la questione fosse stata la sua? Adesso che abbiamo “deciso” di rinviare ad altra udienza, aspettando Godot, potrebbe dirmelo. Ah, saperlo!
Oggi ho scoperto che il diritto è il romanzo pirandelliano “uno, nessuno, centomila” in cui il principio di buona fede si atteggia in uno, nessuno e centomila modi. Nel mio caso si è fermato … al cognome”.
UGO CAMPESE