Due Seminari per l'Università In primo piano

Le istituzioni politiche hanno per definizione una funzione di rappresentanza e di guida. Accanto ad attività di sola amministrazione, gli enti locali territoriali svolgono importanti ruoli di programmazione, proiettando nella libera dinamica degli interessi privati una innegabile funzione di guida. La più notevole espressione di tale potestà si può rinvenire nella pianificazione urbanistica. Ebbene, è in gestazione un nuovo strumento che dovrà assecondare-guidare le dinamiche socio-economiche della città nei prossimi anni.

Non è un lavoro che si possa relegare negli studi di architetti e ingegneri e neanche nelle sole analisi economiche. In altri tempi, quando la fiducia negli strumenti di partecipazione era certamente più avvertita, erano le stesse organizzazioni territoriale delle rappresentanze politico-sindacali ad attivare momenti di informazione e confronto. Allorché si è delegata al ceto scientifico la redazione di strumenti di programmazione la già declinante attenzione degli amministrati è stata estromessa dalle fasi preliminari di analisi.

Senza alcuna intenzione di elevare il passato a modello di perfezione è opportuno fare sapere agli attuali trentenni e quarantenni che, quando si facevano i piani regolatori, gli elaborati e le proposte erano oggetto di esposizione in diversificati ambienti sociali che alimentavano la discussione basata sulla conoscenza. Il primo dovere di chi sta già mettendo a punto la macchina burocratica di redazione di un qualsiasi documento di programmazione del territorio è quello di programmare una indispensabile fase di sensibilizzazione quanto più vasta possibile, perché il patrimonio culturale riscontrabile nelle testimonianze e nelle esperienze di chi è vissuto in questa città deve necessariamente diventare un punto di partenza dal quale non ci si può discostare se non in una prospettiva di arida rottura. In altre parole, l’opinione della collettività ha lo stesso valore dei testi scritti ai fini dell’accumulo della stratificazione culturale capace di “interpretare” il “sentire comune”. Nei prossimi mesi bisognerà scendere in una approfondita analisi degli obiettivi dei precedenti strumenti di programmazione urbanistica. Basti per il momento riferire che il Piano Regolatore del 1970 ipotizzava per Benevento nell’anno 2000 una popolazione tendente a 100mila abitanti. Sappiamo tutti che nel 2020 siamo a stento in 60mila. E con la denatalità ormai stabile non c’è da immaginare alcun cambio di tendenza.

Una prima riflessione è che il disegno infrastrutturale riferito alle strade è sovrabbondante. Il costo sociale (ciò che il Comune deve spendere e i cittadini devono sostenere con le imposte) è sbilanciato e di difficile riassorbimento. E però sono a tutti visibili interventi di edilizia abitativa lungo (e fuori) gli assi viari immaginati come periferici. Il territorio urbanizzato si sta ancora ingrandendo.

Prima di immaginare nuove edificazioni sarà indispensabile eseguire un censimento serio delle cubature esistenti e, di esse, quante sono disabitate. E quante di queste cubature si possono rendere meglio funzionali.

L’esempio dell’Università del Sannio ci aiuta a rendere comprensibile la questione. Chi pensi che al Viale dell’Università possa trovarsi il beneventano ateneo è costretto a ricredersi. A uno studente che ad agosto chiedesse nei presi della Cattedrale dove sta l’Università del Sannio il civis benventanus dovrà porre una domanda: ma quale facoltà?

L’Università del Sannio potrebbe acquistare una migliore funzionalità logistica, ma soprattutto una più proficua capacità aggregativa ed educativa, se i vari dipartimenti e il rettorato e gli uffici amministrativi fossero funzionalmente e materialmente accorpati. Gli studenti di scienze e quelli di economia e quelli di giurisprudenza non hanno oggi alcuna occasione di stare insieme. Ebbene, oggi è possibile (e perciò ineludibile) immaginare per l’Università del Sannio una sistemazione per larga parte delle sue attività didattiche e di ricerca in un “comprensorio” di altissimo prestigio, situato fuori dalle limitazioni del centro storico, privo di significative interferenze. E’ ciò che proposi al rettore Filippo De Rossi appena eletto, in presenza del rettore uscente Filippo Bencardino, avendo come caparra la disponibilità dell’allora ministro dell’Università Maria Chiara Carrozza: vale a dire l’edificio del già Pontificio Seminario Regionale Pio XI divenuto successivamente sede della Scuola Allievi Carabinieri. Rispetto a dieci anni fa, c’è la sopravenuta disponibilità dell’adiacente Seminario Arcivescovile, inaugurato da Papa Giovanni Paolo II il 2 luglio 1990, ormai dismesso come seminario, occupato in minima parte dal Liceo Ginnasio de la Salle.

I due magnifici edifici, con i relativi suoli, offrono strutture (aule, palestre, auditorium, biblioteche, spazi all’aperto) progettate per la didattica e la ricerca. Solo l’Università ne può salvaguardare la funzione, così sventando qualsiasi pulsione di cementificazione, garantendosi peraltro una “casa” adeguata alla sua alta missione.

Ecco un caso nel quale il Comune, quale organo di programmazione, può proporsi come suggeritore e garante, anche per quanto possa riguardare la ricerca di risorse indispensabili all’ottimale definizione del progetto. Il nuovo rettore, Gerardo Canfora, ha davanti a sé tutto il tempo necessario per intestarsi il merito di aver dato una casa alla sua università.

MARIO PEDICINI