Fu un clamoroso errore distruggere il ponte Vanvitelli In primo piano

In una intervista radiofonica il sindaco Fausto Pepe si è lamentato delle continue critiche sui progetti che l’Amministrazione comunale cerca di portare avanti. In un momento di tagli e di crisi. Il malumore del sindaco è comprensibile.

Debiti fuori bilancio, accuse, richieste di dimissioni, un consiglio comunale che non riesce a raggiungere un accordo sul pagamento della Tarsu, tecnici e revisori che sollecitano i politici a decidere.

In questa situazione portare a termine nei tempi previsti, per non perdere i fondi europei, è difficile.

Perplessi anche molti cittadini: ma a che serve questa passerella?

I soldi delle fontane non potevano servire per problemi più urgenti? Meglio chiarire ancora una volta che i soldi europei sono destinati a progetti precisi, in altre parole il sindaco non puoò decidere, ad esempio, di distribuirli ai disoccupati. Sono in cantiere lavori che cambieranno la citta: costruzione e recupero di ponti sul Sabato e Calore, restauro del lungofiume, sistemazione del Rione Libertà, piste ciclabili e pedonali.

Era dal 1960, anno di costruzione dopo la demolizione del ponte settecentesco, che non si interveniva in maniera decisa. Sarebbe assurdo perdere queste opportunità anche se occorre prudenza negli appalti e nella valutazione dell’impatto ambientale, cercando di evitare una eccessiva cementificazione. Proprio in questi giorni Silvano Capossela, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili, è stato molto critico sul settore urbanistico del Comune di Benevento.

Il nuovo ponte da costruirsi sul Sabato, da Torre della catena verso il Rione Libertà, ad esempio, è fermo da 4 anni. I costi sono saliti, la ditta assegnataria potrebbe trovarsi in difficoltà anche per ritrovamenti archeologici. Per il momento ultimata via Grimoaldo Re, si passerà ad una “rifinitura” estetica del ponte Vanvitelli: pavimentazione, impianto di illuminazione, pulizia parapetti e fiancate. Era dal 1960 che non si interveniva in maniera decisa.

Si tenga presente che nella zona, in un futuro, potrebbe realizzarsi il ponte Littorio del podestà fascista Donisi e dell’ingegnere De Rienzo.

La memoria storica ci riporta all’ultimo grande restauro dovuto al primo architetto del Regno di Napoli Luigi Vanvitelli.

Corre l’anno 1707 straripano il Sabato e il Calore, il ponte Leproso rimane senza due arcate. L’altro sul Calore trema, perde pietre, allarga le sue lesioni dovute al forte terremoto del 1702.

Si tratta di un’opera medioevale fatta di pietrame e avanzi dell’età romana. I fondi sono pochi e si rimedia alla meglio ma nel 1764 i consoli incaricano due periti di relazionare. Viene fuori il sospetto che le fondamenta siano pericolanti. La riparazione non “può farsi senza deviare le acque del fiume”, come si legge nella relazione.

Si chiama il Vanvitelli, famoso per i ponti dell’acquedotto Carolino. L’architetto arriva, si lamenta della schifezza delle strade che gli hanno rotto le ossa, chiede notizie ai notabili, al sindaco Trabucco, ai pescatori, sui livelli del fiume. Con una lunga canna controlla le fenditure, con un filo a piombo verifica le inclinazioni. Anche per lui è tutto da rifare e occorre deviare l’acqua. La spesa sale a più di ventimila ducati. Ma qualcosa non funziona, dall’anticipo di 200 ducati vengono tolti vitto e alloggio, poi si chiedono altri ducati per l’impegno profuso nel far approvare la delibera. Forse una tangentopoli settecentesca. Vanvitelli, uomo onesto che lavorava per la gloria e non per i soldi e che morirà povero, si arrabbia e rompe i rapporti.

La mediazione di amici comuni compongono il dissidio e i lavori di rifacimento totale, con deviazione del fiume, iniziano nella primavera del 1767.

Nelle sue lettere Vanvitelli ricorda le gentilezze ricevute dai Beneventani: la cassetta di torrone del Comune, i dodici “capicolli di porco” del marchese Marzio Pacca, le visite ai monumenti. Lo entusiasma più dell’Arco di Traiano, in uno stato miserevole e con le sculture deturpate, la tenuta del capo console Nicola Cardone, erede della famiglia Albini.

Una campagna amenissima, con una sorgente, dove l’architetto sogna di creare un giardino bellissimo. I lavori del ponte si concluderanno nel 1777, ritardata dall’occupazione borbonica della città e dalla spaventosa alluvione del 1770, che distrugge il cantiere. Luigi Vanvitelli è morto a Caserta, sarà il figlio a inaugurare l’opera.

Si tratta di un capolavoro, la robustezza delle arcate viene ingentilita da semplici invenzioni architettoniche. Resisterà a terremoti, alluvioni, bombardamenti, mine tedesche. Dopo l’alluvione del 1949, fu una commissione di “esperti” del Ministero dei lavori pubblici a ordinarne la demolizione. Errore clamoroso, bastava arretrare all’inizio di piazza Bissolati il muraglione difensivo per consentire spazio alle piene. Vanvitelli non aveva sbagliato i suoi calcoli, sapeva che l’allagamento di parte della campagna avrebbe abbassato il livello. In tempi moderni si è costruito anche a Pantano, area storicamente alluvionale.

Dal Calore al Sabato. Valeria Taddeo, dell’Archivio di Stato, ha recuperato e riordinato mappe, contratti, atti notarili dei canali e dei mulini.

Nel 1598 un gentiluomo di Brescia immaginò un “artificio a ruota” per portare il liquido a Piazza Castello e rifornire, in discesa, tutte le fontane.

Si doveva valorizzare il ponticello sul canale Morra con la chiesina di Santa Maria della Libera, una delle più antiche di Benevento.

Un sistema idrico fatto di chiuse, che si prolungava lungo le mura longobarde. Si preferì scambiare la chiesina, cementificare, costruire palazzoni. Trasformare il canale del principe di Morra in una fogna. L’unico a protestare, sulle colonne del “Roma”, fu Don Giovanni Giordano, grande storico e uomo libero. Anni dopo si pensò di abbattere anche il ponticello per fare un viale, ma questa volta la Soprintendenza fece scattare il vincolo. Speriamo bene per il futuro.

GABRIELE DE LUCA

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