Giovanni Fuccio nel ricordo di Giancarlo Scaramuzzo In primo piano

Il 9 gennaio di un fatidico anno, alle ore 12, il professor Giovanni Fuccio, che poi sarebbe divenuto il mio direttore alla sua scuola per l’apprendistato giornalistico, entrava nella mia vita. Mi accolse nella sua redazione, a far parte di quella grande famiglia che è Realtà Sannita, senza tentennamenti, con garbo e con una signorilità d’altri tempi. Sì, perché mi ero preparato a quell’importante appuntamento con una certa emozione e allo stesso tempo prevenzione per come me lo avevano tratteggiato. Dopo i primi minuti necessari a rompere il ghiaccio, sedutogli di fronte, mi apersi dicendo di essere figlio di un comunista. Lui subito mi bloccò: «Eh, figuriamoci, con me ci sono addirittura extraparlamentari». Stava facendo di tutto per mettermi a mio agio. Scattò un’empatia, forse colse in me la serietà d’intenti per quella passionaccia giornalistica che aveva notato in tanti altri prima di me. Al mio mostrargli del materiale con quanto già scritto in passato, citando questo e quello, dopo aver letto qualcosa fuggevolmente, mi fece: «Diamo per scontato che chi entri a far parte di questa redazione sappia scrivere. Ti chiedo tre cose: serietà, puntualità, continuità». Si riferiva alla puntualità nella consegna degli articoli e alla continuità nel tempo, ossia non far pervenire un pezzo oggi e un altro chissà quando.

Incominciai così i miei due anni di praticantato previsti, portando all’epoca gli articoli dattiloscritti in redazione, con il mio primo trafiletto di scacchi pubblicato in ultima pagina. Già al mio terzo articolo ottenni la collocazione in prima. Le lezioni impartitemi furono tante, «scrivi da letterato e non da giornalista» e via di questo passo. Una volta ero talmente su di giri e soddisfatto del mio lavoro che nel riassumerlo mi lasciai andare confessandoglielo, e lui per tutta risposta: «Se un articolo è buono o no lo decidono i lettori. E ricordati sempre quello che ti dico ora: non dovrai mai esaltarti quando riceverai i complimenti, così come non dovrai abbatterti nell’incassare critiche feroci. Non accompagnarti ai politici e schiena sempre dritta». Quell’articolo era su Rita Levi Montalcini, quando a Benevento gli fu conferita la laurea honoris causa e alla cerimonia ero seduto accanto al mio direttore. Finì in prima pagina.

Nel convito per festeggiare la mia iscrizione all’albo dei giornalisti, fui stupito quando il direttore mi consegnò una targa su cui era scritto: «Al giornalista Giancarlo Scaramuzzo nella certezza che con la sua preparazione lealtà e onestà intellettuale saprà essere in sintonia con la grande tradizione della stampa sannita. Gli amici della redazione di Realtà Sannita».

Quando arrivai in redazione mi puntualizzò che non avrei scritto solo di medicina e scacchi. «Devi scrivere di tutto, poi ti specializzerai». Nel maggio 2006 mi firmava e spediva la richiesta di accredito per le XXXVII Olimpiadi scacchistiche di Torino, unico giornalista dell’intero Sannio.

I ricordi sono tanti, in questi giorni di tristezza si affastellano nella mente momenti passati insieme: rivado al mio matrimonio, a quando ho pianto sulla sua spalla alla morte di mia madre, al viaggio in auto noi due soli per partecipare al funerale di Mimmo Castellano, le tante feste del giornalista di fine anno, le messe in occasione del nostro patrono san Francesco di Sales, la conferenza stampa per la presentazione del concorso “Fare il giornale nelle scuole” presso l’Ordine nazionale dei giornalisti a Roma, e mille altre immagini.

È venuto a mancare il punto di riferimento; il protettore: poteva muoverci un appunto in privato nella redazione, ma pronto a difenderci all’esterno; il consigliere saggio e fidato: molte volte mi ha salvato da incresciose situazioni, come quando nello spazio di un mese mi furono offerte le possibilità di dirigere un giornale on line locale e per un altro internazionale di esserne il vicedirettore.

L’eredità che ci lascia è enorme, a noi spetta raccoglierne il testimone, far germogliare quei semi in terreni da lui ritenuti fertili, altrimenti ne tradiremmo in modo inopinato la memoria.

GIANCARLO SCARAMUZZO 

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