Il caso Siani-Rubolino è da manuale per provare come la giustizia a volte possa diventare ingiusta In primo piano

Ad una certa età il passato ti torna puntualmente in mente e prova a “commentare” il presente. È un vero e proprio cinematografo mentale che parte, s’accende, spronato dalla quotidianità. Dagli eventi che vivi tutti i santi giorni. Tu provi a spegnere il proiettore. Per qualche minuto ci riesci pure. Ma poi non c’è niente da fare, la pellicola della vita scorre senza alcuna possibilità di blocco, di sospensione.

Uno dei “ricordi” che mi dà tanto dolore, che vorrei cancellare, è quello di due “ragazzi” a cui ho voluto molto bene e che ad un certo punto della vita si sono trovati in micidiale contrasto. Uno dei due avrebbe tolto la vita all’altro. Ma andiamo con ordine.

Da giovane ho fatto il boy scout. Da figlio unico di madre vedova fu quello il primo momento di autonomia da mia madre. Certo lei era preoccupatissima delle mie notti in tenda ma non poteva impedirmi quell’attività estremamente educativa. In seguito fondai anche, presso la parrocchia Immacolata della mia città, il gruppo scout Torre Annunziata II. All’epoca tra i miei lupetti ve ne era uno particolarmente vispo ed intelligente. Si chiamava Giorgio Rubolino. Ricordo il giorno della partenza dalla stazione di Napoli per uno dei primi campi estivi a San Martino in Val Badia. C’era anche il papà di Giorgio, magistrato, ad accompagnare il figlio. Si raccomandò con me perché era preoccupato per la vivacità del suo figliolo. Fu una bella esperienza quella che è ancora nella mente di tanti “ragazzi” che vi parteciparono.

Giancarlo Siani l’ho conosciuto in CISL, ai corsi di formazione sindacale, dove io facevo “l’animatore”. Ricordo anche che quando gli edili della CISL Campania mi chiesero un nominativo perché avevano bisogno di un addetto stampa non ebbi dubbi a fare il suo nome. Era un giornalista preciso, scrupoloso. Stava sulla notizia senza voli pindarici. Erano gli anni ottanta, gli anni del terremoto in Irpinia.

Come si può ben comprendere quelle due persone per me erano importantissime, per l’affetto che gli volevo, per i ricordi di una “bella gioventù” che mi riportavano alla mente. Fu atroce la sensazione che provai quando venni a sapere che il Procuratore generale di Napoli, Aldo Vessia, riteneva - senza ombra di dubbio - Giorgio responsabile dell’omicidio di Giancarlo. Rubolino poteva essere un esaltato, un mitomane, un.... ma non un assassino. L’ho pensato dal primo momento. E quando i miei colleghi giornalisti non avevano dubbi sulla colpevolezza di Giorgio, sposando la tesi della magistratura, io l’ho sempre difeso perché lo conoscevo bene. Passare in carcere da innocente 439 giorni deve essere stato terribile per lui ed i suoi familiari.

Il caso Siani-Rubolino è da manuale per provare come la giustizia diventa ingiusta. Come il protagonismo di certi magistrati va al di là dell’oggettività, della terziarità per cedere alla febbre di potere che spesso s’accoppia con quella mediatica. La vicenda che ha investito ultimamente il Consiglio Superiore della Magistratura, con il caso Palamara, è la prova provata di quanto sto affermando. Ha fatto bene il presidente della Repubblica, sempre pacatissimo, ad usare parole forti per stigmatizzare comportamenti assurdi, veramente malavitosi, di certi magistrati che hanno dato discredito a tutta la categoria.

È letteralmente tragico per l’imputato, per i familiari di Siani e di Rubolino, per tutte le persone che conoscevano i due, dover rimanere nel dubbio per ben dodici anni, fino a quando dei pentiti non hanno fatto chiarezza su tutta la vicenda. E, in ultimo, la Corte d’appello ha messo la parola fine sulla vicenda condannando gli esecutori materiali del delitto che furono Ferdinando Cataldo, Armando Del Core e Ciro Cappuccio.

Il caso Siani-Rubolino di riflessioni con sè ne porta tante. Stiamo parlando di un caso da prima pagina dei giornali. Prima che i pentiti dicessero la loro se n’è parlato per anni ma sempre a senso unico. Un magistrato aveva “sparato” la sua verità e la maggior parte della stampa segue ad occhi ed a mente chiusa l’indicazione del “sapiente” P.M.. Una brutta storia che non c’entrava niente con gli scritti di Siani sulla camorra, sul malaffare. Eppure l’allora ministro degli Interni Scalfaro, ai funerali di Siani, tenne a precisare: “Il delitto è avvenuto in una zona di camorra. L’esecuzione è di chiaro stampo camorristico considerando il tipo di impegno professionale svolto dal giovane giornalista”. Per il P.M. Vessia tutta un’altra storia.

ELIA FIORILLO