Il j'accuse di Pasquale Viespoli: 'Città Spettacolo, un falso ideologico' In primo piano

Si alza il sipario ma di Città Spettacolo resta solo il nome della Cosa.

Sotto la sigla, poco o niente che richiami quella che per quasi un quarantennio è stata una rassegna teatrale di rilevanza nazionale.

Gli ultimi anni sono stati gli anni del declino.

La nuova amministrazione ha completato l’opera.

Città Spettacolo andava sicuramente rilanciata, ma preservandone l’originalità e l’identità. Ed è invece è stata svuotata di senso e di significato.

La delibera di approvazione del cartellone, contiene una previsione di 98mila euro per il programma artistico; 85 per concerti e 5 per un comizio-spettacolo. Senza teatro non c’è Città Spettacolo.

Utilizzarne la sigla, per poi farne altro, rasenta il falso ideologico.

Archiviare Città Spettacolo è una scelta di politica culturale legittima ma che si ha però il dovere di affermare con onestà intellettuale. Altrimenti si arriva al paradosso, come nel caso di un recente articolo di un grande quotidiano, colto e pensoso, che ha utilizzato mezza pagina per presentare Città Spettacolo.

Nel pezzo c’era di tutto, il carrello dell’agroalimentare era pieno. Si citavano prodotti tipici ed atipici. L’unica tipicità assente era quella di Città Spettacolo.

Mancava la parola chiave, la password, teatro: neanche una citazione.

Senza scomodare il Tradimento dei Chierici o l’intellettuale organico dei Quaderni gramsciani, è più semplicemente il risultato del pensiero unico omologante. Quel che colpisce, infatti, non è l’autoreferenzialità o l’arroganza di chi rivendica la forza dei numeri come unico criterio di valutazione e di giudizio, come se bastasse l’auditel per giudicare l’operato e le scelte di governo. Quel che colpisce, ancora, non è tanto l’approssimazione e la disinvoltura nella gestione amministrativa, come è stato da altri puntualmente già evidenziato, ma il silenzio, l’assenza di pensiero e di posizioni critiche. Ed è un segno di regressione e di impoverimento culturale.

Città Spettacolo, per decenni, ha scatenato polemiche e confronti aspri.

Ha stimolato passioni e contrapposizioni, anche in relazione alle risorse pubbliche utilizzate. Quelle risorse trovavano, però, motivazione, perché finalizzate a un evento-veicolo di un settore fondamentale della cultura nazionale, il teatro, e dell’immagine della città, della sua qualità urbana e comunitaria. L’obiettivo era l’originalità e l’inscindibilità col territorio.

Esattamente l’inverso della ripetitività e dell’omologazione. Come accade tra Cotto e Crudo, con iniziative e concerti che si svolgono ovunque, in ogni città o paese. Basta pagare il cachet. E se il problema è quello dei numeri, il rischio è di perdere il confronto persino con l’ultima sagra di fine stagione.

Pasquale Viespoli 

Presidente dell’Associazione politico-culturale Mezzogiorno Nazionale

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