Il valore delle Europee 2024 In primo piano

Si può fin d’ora affermare che le elezioni del Parlamento della Unione Europea sono per l’Italia una occasione mancata. Anziché cogliere i drammatici eventi, che vedono teatri di guerra aree dell’Europa e di vicini di casa sulle sponde meridionali del Mediterraneo, come occasioni per impegnare le migliori risorse politiche e culturali, l’invito a votare il pomeriggio di sabato 8 e la domenica 9 giugno è finalizzato ad una “verifica” di contingenze interne. Cioè se Salvini prenderà un voto più di Tajani e se Conte possa mettere paura al PD della giovane Schllein o se Calenda e Renzi ce la faranno a restare a galla. Galli a galla?

Non occorre essere analisti specializzati in vicende elettorali per accorgersi di quanto appena affermato, che cioè tutto si riduce ad una “verifica” del peso elettorale dei partiti locali, in vista della prosecuzione delle alleanze o per sostituire qualche malfidato con il possessore di risorse rese più fresche dall’idea di poter mettere le mani su ministeri e aziende di stato.

Il fatto che la quasi totalità dei partiti maggiori proponga all’elettore il volto (sorridente, si capisce) di chi certamente al Parlamento europeo non metterà piede, perché cederà la poltrona a un gregario che avrà beneficiato dei voto procurati dal leader che si è “sacrificato”, sta a significare che l’Italia nel parlamento europeo sarà rappresentata da “riserve” e non da giocatori di prima squadra. Forse anche perché veri giocatori di prima squadra non sono stati selezionati. O forse perché di giocatori idonei al campionato del Parlamento europeo non ce ne sono proprio. Nel 2024 l’Italia si trova ad essere governata da una classe dirigente che si ritrae nell’orticello delle baruffe localistiche perché su un piano più ambizioso sa di non avere peso. Una testimonianza in tal senso è il livello dei partner scelti, per provare a metter su una parvenza di alleanze sul versante degli scettici o dei capricciosi da accontentare facendosene alleati.

D’altra parte il nostro è un Paese dove si tende a far credere ai più giovani che l’Italia ha vinto una guerra il 25 aprile del 1945 e si nasconde che la guerra (la seconda guerra mondiale) ha il suo sigillo del Trattato di pace del 10 febbraio 1947, nel quale l’Italia si ritrova nel novero delle nazioni sconfitte, tenute a pagare in termini economici e di autonomia politica il prezzo delle proprie responsabilità.

Mentre anche i più anziani esponenti delle tradizioni patriottiche si ribellavano nell’Assemblea Costituente alle notizie che provenivano dalla Conferenza della Pace in corso a Parigi, Alcide De Gasperi ruppe ogni indugio e si presentò al Presidente degli Stati Uniti per contribuire a gettare le basi del “Patto Atlantico” nel quale potettero ritrovarsi gli stati europei che, con la sconfitta nella guerra, potevano rigenerarsi nell’aria nuova delle democrazie liberali. Il primo atto della nuova Europa fu siglato a Roma il 25 marzo 1957. Tre grandi nazioni, gravemente ammaccate dall’esperienza bellica (Francia, Germania e Italia) e tre più piccole comunità (Belgio, Olanda, Lussemburgo: in sigla BENELUX) costituirono le fondamenta del futuro Mercato Comune Europeo. In una Europa che a distanza di vent’anni si era dilaniata in due guerre definite mondiali, sorgeva l’alba di un nuovo giorno.

Chi di voi ha sentito parlare di queste cose durante questa campagna elettorale? Ne sanno qualcosa i nostri candidati? A quali tremende responsabilità dovranno rispondere quelli che comunque riusciranno eletti, senza il sostegno degli apparati politici di riferimento?

Il mondo democratico deve confrontarsi con le potenze dittatoriali che si fanno sempre più aggressive. Veramente i princìpi della democrazia rischiano di essere abbandonati da popoli infatuati delle prodezze esibite da dittatori carismatici.

Le elezioni di giugno sono una prova per l’Europa. All’interno di questa Europa, che può avvalersi della autorevolezza dell’Inghilterra lasciata uscire sventuratamente dall’Unione Europea, il lavoro più urgente sarà la risemina di quello spirito di libertà, di quella eredità cristiana, di quel patrimonio culturale a cui il mondo intero ha guardato con rispetto e che troppi, di fronte al bivio del sacrificio, sono pronti a rinnegare.

L’unità dell’Europa è stato il faro del nostro personale cammino. Che torni ad orientare anche le nuove generazioni. Per la loro prospettiva di libertà. Da cui tutto dipende.

MARIO PEDICINI