Il Viale degli Atlantici arriverà al 2033? In primo piano
Il Viale degli Atlantici rischia di non poter celebrare il primo secolo di vita. Non si sa, infatti, che cosa ne resterà fino al 28 ottobre del 2033, data dell’imprevedibile ricorrenza.
Sono scomparsi i lampioni umbertini (qualcuno fu trasferito al Corso Garibaldi, nei pressi del palazzo del Governo), sono ormai dimenticati i lampioni a due bracci di Piccinato che ornavano i “giardinetti” e non si sa quanti sopravvissuti saranno i pini piantati sempre da Luigi Piccinato nel 1933.
Il Viale fu realizzato in concomitanza con la costruzione del Pontificio Seminario Regionale Pio XI, pagato dalla giovanissima Città del Vaticano (nata l’11 febbraio 1929) e doveva essere intitolato al Papa (così a Salerno, seminario e viale sotto lo stesso nome di Pio XI). Seminario e Viale si sarebbero inaugurati lo stesso giorno (28 ottobre, anniversario della marcia su Roma), se non fosse esplosa la fama internazionale della Trasvolata Atlantica di Italo Balbo. Benevento era sede della III Zona Aerea, Alessandro Guidoni a cui era intestata la già Caserma del Regio Esercito era una personalità della storia aeronautica. Le autorità non potevano non “partecipare” al giubilo nazionale e avevano il viale a portata di mano. Con l’arcivescovo Adeodato Piazza si trovò una soluzione pacifica. Si sarebbe scelta la data del 25 ottobre per la intitolazione del Seminario, lasciando al sindaco Gabriele Collarile, ai gerarchi e alle autorità aeronautiche la data più “consona” del 28 ottobre per l’inaugurazione del Viale.
Questa storia può non piacere a tutti, ma è storia.
Di quei giorni ci sono pochissimi reduci, tra i viventi ci sono i pini del Viale. Quasi tutti quelli abbattuti dalla amministrazione Mastella avevano “partecipato” ai festeggiamenti del 1933. La loro età è diventata una ossessione, ad ogni allerta meteo c’è chi spera di vedere steso almeno un pino per riprendere quella famosa delibera (votata all’unanimità degli assessori) per l’abbattimento di tutti i pini, certificati (non si sa da chi) a fine vita.
Entrato in vigore un decreto ministeriale sul verde (ministro era un forestale, inquadrato poi come generale nell’Arma dei Carabinieri quando la Forestale fu assorbita dai Carabinieri: a Via Valfortore ci sono gli uffici intestati ai Carabinieri Forestali), si è cercato di fare le cose per bene. Dapprima l’autorità regionale che sembrò assecondare la volontà del Comune di Benevento, poi una super perizia di uno studio salernitano, infine quest’anno una nuova perizia (ancora più super) di uno studio di Campobasso.
Fatta una insana potatura, con la quale è stata fatta salire la chioma oltre il livello dei lampioni (è più agevole per una ventalena scroccare qualche ramo) e in attesa della (imminente?) caduta di tutti i pini, la struttura municipale si è lanciata con entusiasmo a far fuori un altro blocco di questi sventurati alberi. Stando solo al Viale (anche pini di altre zone stanno nella lista dei morituri) i condannati a morte erano praticamente già tutti stesi a terra quando è arrivato un ordine di sequestro del cantiere.
E’ nostro parere che non è la Magistratura la autorità che deve avallare le scelte dell’Amministrazione. Ci possono non essere reati, ma provvedimenti decisamente sballati. Però, quando pure un giudice condannerà un funzionario comunale, i pini abbattuti non rinasceranno. Ci vorranno cento anni per “riavere” il bene distrutto.
Il comune di Benevento, per estensione territoriale, amministra 130 chilometri quadrati. Ha, quindi, un patrimonio “verde” di impossibile classificazione omogenea. Il territorio collinare disegnato dalle vallate dei fiumi e di numerosi corsi d’acqua minori comporta una varietà di specie vegetali che rappresentano un “pregio”, non una disgrazia. Mandare ogni tanto ruspe a spianare i fiumi non è rispetto dell’ambiente. Desertificare, come si è fatto nella disattenzione generale, l’area di Ponte Leproso-Cellarulo ha portato alla scomparsa di un habitat in cui vivevano uccelli di pregio o comunque animali che assicuravano un equilibrio di convivenze diverse. Non può il Comune amministrare ordinando pesticidi e bonifiche di fogne e vicoli con abbondanti dosi di “medicine” di confessata nocività anche per gli umani, come quando si raccomanda di tenere finestre chiuse.
L’assessore al Verde non deve badare solo al bell’aspetto della villa comunale o alle pianticelle nei vasetti a decoro (?) dei patiboli di ferro di piazza Piano di Corte. E quindi ha tutto il diritto-dovere di pretendere personale qualificato, mezzi materiali e disponibilità finanziarie per adempiere al suo compito con la visione calibrata alla cultura del ventunesimo secolo. Certo non si può tollerare che, in questi giorni di gennaio, sia l’ASIA a “scopare” le aiuole, perpetuando il passaggio a raso col quale sono stati eliminati in questi anni arbusti e piante da fiore.
E’ certificato che il beneventano medio non conosce il territorio, non lo pratica, chiama cafoni quelli che “governano” la campagna. Come diceva Peter (africano approdato con le ACLI qui da noi) a Benevento ci sta solo Angoppa e Abbascia: angoppa u spitale e abbascia a stazione, angoppa u scuat e abbascia e palazzine.
Voglio dire ai miei concittadini che, senza sporcarsi di terra le calzature di marca (anche se false), ad assicurare l’ossigeno per campare non ci sono bombole o programmi televisivi. L’ossigeno ce lo assicurano le piante. Un pino di quelli abbattuti in quest’ultima fanfaronata ne era un efficiente produttore. E quelle gocce comparse sui tronchi segati non erano tracce di un pianto poetico, ma sostanze nobili (resina di pino, alias incenso) che hanno mercato presso le popolazioni sviluppate (esempio Firenze).
Le piante, il verde non è roba che può essere affidata a “mancati carpentieri provvisti di motoseghe”. Scesi in campo a gennaio a rasare aiuole.
MARIO PEDICINI