In morte di Roberto De Simone In primo piano

Ho conosciuto personalmente Roberto De Simone, la sua scomparsa mi addolora profondamente. Aveva una veneranda età, ma rappresentava un punto di riferimento indiscutibile. La sua opera lo testimonierà in eterno. Per ricordarlo, desidero raccontare due episodi, accaduti all'epoca della nostra collaborazione, che possono far capire la personalità del Maestro.

Ci eravamo conosciuti quando egli attendeva alla sua ricerca sulle fiabe campane. Egli venne a sapere da un comune amico che avevo raccolto anche io delle fiabe qui a Benevento, perciò chiese di incontrarmi. Quel pomeriggio, a casa mia, avemmo modo di parlare di tante cose e per me fu come se qualcuno avesse acceso una luce davanti ai miei occhi. Avevo intenzione di pubblicare la mia raccolta di fiabe beneventane e gli chiesi di scriverne la prefazione. Egli accettò di buon grado e mi chiese in cambio di cedergli una delle fiabe che avevo raccolto, perché voleva inserirla nell'opera che stava componendo. Così il Maestro De Simone scelse una fiaba narrata da mia madre, dal titolo La bambola  (fiaba n. 17 dei due grandi volumi pubblicati nei Millenni Einaudi dal titolo Fiabe campane. I novantanove racconti delle dieci notti) e inserì anche me nell'elenco dei collaboratori.

Fu di parola, scrisse per me una piccola, ma preziosa prefazione al mio libro Antiche fiabe beneventane, edito da Realtà Sannita nel 1994. E vengo ai due episodi. Una volta lo andai a trovare a casa sua, quando abitava a Posillipo; venne con me anche mia madre. Ammirammo la sua collezione di anime purganti, piccole sculture di terracotta che rappresentano le anime del Purgatorio, che egli teneva esposte lungo il corridoio di quell'antica casa. Il pianoforte a coda troneggiava al centro del salone. Il Maestro ci accolse in vestaglia; si scusò per l'abbigliamento poco convenzionale e scherzando ci disse che non era da persona perbene presentarsi a degli ospiti con quella mise, ma lui non era una persona perbene, era una persona permale e quindi dovevamo perdonarlo.

Qualche tempo dopo, mi telefonò un amico che aveva un ruolo nella giunta comunale di allora. Sapendo che avevo contatti con De Simone, mi pregò di fargli sapere che volevano invitarlo a Benevento per una manifestazione. La giunta in questione non era nelle mie simpatie. Io ero molto giovane e non ero molto diplomatica. Telefonai al Maestro per comunicargli dell'invito da parte del Comune, sicura che egli avrebbe rifiutato, vista la matrice politica dell'Amministrazione che avevamo. Con mia grande sorpresa, De Simone invece accettò. Un po' piccata per quella che sentivo come una defaillance nell'immagine eroica che avevo di lui, esclamai: Maestro, ma sono di destra! Egli allora con grande disinvoltura replicò: E allora? L'arte non è né di destra né di sinistra!

Poi, per qualche motivo a me ignoto, quella sua partecipazione a Benevento non ci fu, ma quella sua risposta mi colpì molto. Aveva ragione: l'arte è arte e non ubbidisce alle categorie politiche o morali. Il Maestro, d'altro canto, aveva un sacro rispetto per le manifestazioni più vere della devozione popolare, come appare da questo secondo episodio. Andai a vedere le prove di un suo spettacolo al teatro Mercadante: L'opera buffa del giovedì santo. Al termine, mi avvicinai per salutarlo. De Simone mi riconobbe e mi accolse cordialmente. Poi, ricordandosi che ero di Benevento, mi chiese se fossi in grado di procurargli le catene che usano i battenti di Guardia Sanframondi, che egli avrebbe voluto per una scena di quello spettacolo.

Mi misi al lavoro e grazie a Carlo Labagnara, collega giornalista di Realtà Sannita, che è di Guardia ed è attento studioso dei riti settennali e dei battenti, potei avere il nome di un artigiano che costruiva quelle particolari catene dei battenti, che si chiamano discipline, costituite da una placca triangolare di ferro munita di gancio all'apice, che porta tre o cinque catene di ferro sul lato di base. Era l'unico che lavorava ancora quel tipo di strumento medievale. L'artigiano mi diede un paio di quelle discipline e mi disse: Non mi fa piacere che queste cose siano usate per il teatro, ma trattandosi del Maestro De Simone, faccio un'eccezione.

Mi recai a Napoli per portare a casa di De Simone gli strumenti dei battenti avuti a Guardia. Egli fu molto contento e io gli raccontai anche quello che aveva detto l'artigiano guardiense. Non potei assistere allo spettacolo, ma in una successiva occasione gli chiesi come era andata la scena con le catene. De Simone mi rispose: Non le ho usate! Sono oggetti sacri, di devozione per il popolo. Ho usato delle semplici corde coi nodi. La cosa quasi mi commosse. Telefonai poi a Carlo Labagnara dicendo di rassicurare l'artigiano. Le discipline non erano state usate per lo spettacolo. Ho voluto condividere con voi questi ricordi, tornati vivi oggi, nel giorno della scomparsa di questo grande della cultura italiana. Con lui si chiude un'epoca. Siamo stati fortunati testimoni della sua arte.

PAOLA CARUSO