Lega - M5S, quando i giocherelli non servono più In primo piano

“Giocare sì, ma fino ad un certo punto”. Una regola da rispettare sempre, in particolare quando i “giocatori” sono politici. Perché se non si mette uno stop ai magheggi per far scoprire l’avversario o per confonderlo, c’è il rischio che un boomerang di ritorno possa colpire chi continua imperterrito a giocherellare.

Di tutto si può dire di Matteo Salvini e di Giggino Di Maio ma che non siano dotati di un’intelligenza politica che gli fa avvertire prima di altri i pericoli che corrono, questo no. Anzi, hanno un fiuto non comune nel fare il passo giusto al momento giusto, ovviamente nell’ottica dei propri interessi personali e di partito.

Il primo giro al Quirinale è andato com’è andato. Salvini, Berlusconi e Meloni si sono recati a dire la loro a Mattarella, ognuno per proprio conto. Una parte del centro-destra vittorioso alle elezioni del 4 marzo preferisce non far dimenticare all’opinione pubblica chi sta dietro a quella aggregazione politica. Questione d’immagine e non solo. Dopo la “scoppola” che Berlusconi ha preso alle elezioni con il sorpasso della Lega e con la leadership del centro-destra finita al suo avversario-compagno, ogni occasione è buona per farsi vedere e sentire. C’è da individuare, comunque, al di là delle apparizioni e delle dichiarazioni ad effetto, una strategia per bloccare la scivolata di Fi al 10 per cento degli ultimi sondaggi. Da questo punto di vista l’ex Cav. farà di tutto per evitare le elezioni anticipate. E Matteo Salvini questo lo sa bene. E proprio da questa debolezza prende le mosse per costruire il suo progetto che non può non passare per un accordo con il Movimento Cinque Stelle. Certo, Di Maio le ha provate tutte per smuovere il Pd. Nel “contratto” alla tedesca che aveva ipotizzato per un accordo con i dem, pur storcendo il naso, avrebbe fatto passare anche questioni scomode per i grillini. Il Pd, comunque, ha detto “no”, senza possibilità d’appello.

Accantonata l’ipotesi “accordo-contratto” con il Pd Giggino e Matteo qualche cosa si dovevano inventare per non andare alle urne. E’ vero che i sondaggi danno in crescita sia i grillini che la Lega, ma il quadro sostanzialmente rimarrebbe quello attuale. Meglio, allora, provare a governare insieme.

Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio “zero spaccato” in quanto ad empatia. Di Maio accusa Berlusconi, tra l’altro, di certe connivenze a dir poco pericolose e il presidente di Fi continua, tra l’altro,  nel suo ritornello apostrofando Giggino come un “faniguttùn”, sfaccendato, per giunta ignorante non avendo mai conseguito una laurea.

Se il Matteo padano e il Luigi napoletano vogliono prendere possesso di palazzo Chigi, qualcosa si devono inventare per aggirare certi dissidi. Di Maio è parte in causa e può fare poco. Chi può provare a risolvere il problema è Matteo Salvini. Non può far altro in questa fase che gridare che lui, leader del centro-destra, vista la vittoria elettorale, è destinato a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Sotto, sotto però non ci crede. I cinquestelle, forti dei risultati di Di Maio, non gli darebbero mai il placet. Eppoi, a lui tocca gestire l’ex Cav., ma anche la sorella-fratello d’Italia Giorgia, pure lei in crisi per i sondaggi del suo partito che invece di andare su, scendono giù. La mossa di salire uniti al Quirinale può essere letta in tanti modi, e i protagonisti hanno dato le proprie versioni. Ce ne potrebbe essere una molto particolare. Salvini si è accordato con Di Maio perché sia lui, Giggino, il prossimo presidente del Consiglio. Ovviamente certi ministeri chiave andrebbero al centro-destra: Interni, Esteri, ecc.. Di Maio dovrebbe finirla di sparare sull’alleato e anche Berlusconi. Entrambi avrebbero il loro tornaconto da un’operazione del genere. Nessuna generosità da parte del presidente della Lega. Anche a lui arriverebbero benefici. Un ministero dove potrebbe continuare le battaglie populiste finalizzate  alla crescita della sua Lega e via dicendo. Ma anche libertà di muoversi e di condizionare a suo piacimento il presidente del Consiglio, come ai tempi di Bossi

Il “secondo giro” dal presidente della Repubblica diventa cruciale. Potrebbe essere Mattarella a togliere d’impaccio Salvini. Incarico esplorativo a Di Maio, proprio perché rappresentante della forza politica più votata.

ELIA FIORILLO