No Tav anche a Benevento In primo piano

Ci fu un tempo nel quale a Benevento, attorno ad una idea di città, si progettavano soluzioni. Per una città che doveva ospitare l’Università (nella aspirazione di pochi testardi proprio come uno strumento di apertura sociale) serviva una riorganizzazione delle reti di collegamento tra i rioni che si erano formati (o si stavano formando) per una funzionalità diffusa. L’anello esterno per la circolazione automobilistica (bloccato solo dal fermo della circonvallazione Ovest) era una realtà. All’interno di questo anello la città dei due fiumi poteva contare su due ponti, uno sul Calore e l’altro sul Sabato: due strozzature che già allora determinavano rallentamenti e inquinamento.

L’Ufficio Tecnico Comunale, sulle previsioni del Piano Regolatore del 1970, aveva redatto schemi progettuali che accompagnavano e indirizzavano anche i nuovi interventi di edilizia sociale del post-terremoto. I beneventani di una certa età ricorderanno che il Rione Pacevecchia, Capodimonte, la via dei Fossi, Santa Maria degli Angeli prendevano corpo in quegli anni: e per essi nasceva una viabilità segnata da funzionalità perché dotata di spazi per le soste e connessioni sicure.

Dall’anello esterno verso l’aggregato urbano furono progettati gli “assi interquartiere”. Due fondamentali, sicuramente geniali, ma sfortunati.

Quello che da Ponte a Cavallo avrebbe portato in un paio di chilometri di viale urbano di scorrimento al Rione Libertà (zona San Modesto), avvicinando alla città anche l’aggregato di Santa Clementina (salvaguardando il Ponte Leproso) incorse nelle scoperte archeologiche di contrada Cellarulo. Quello che da via Francesco Flora (Rione Mellusi) avrebbe portato al Rione Libertà (zona stadio) si imbatté in una opposizione, antesignana per filosofia a quella che oggi alimenta i No Tav e i No Tap.

L’ostacolo metafisico, apodittico (quindi senza possibilità di confronto dialettico) fu che trattavasi di “opere faraoniche”. Se ne fecero sostenitori, in una alleanza “impossibile”, i due consiglieri comunali simbolo della destra e della sinistra (Pasquale Viespoli e Ciccio Romano).

L’assimilazione ai No Tav è data dal fatto che la opposizione si aveva verso opere in corso di realizzazione, finanziate e appaltate. Funzionò da impressionante fantasma l’opposizione alle “tre gallerie” sotto il Viale degli Atlantici. La città non aveva più gli organismi di rappresentanza in condizione di esercitare una autorevole leadership, per la crisi dei partiti politici tradizionali e per l’attivarsi anche a Benevento della scorciatoia giudiziaria. Una denuncia bastava a paralizzare ogni opera.

Intanto le gallerie sono realizzate all’80 per cento (azzardiamo, non siamo tecnici), la Giunta Pepe decise di chiudere quella artificiale parallela a via Avellino e di realizzare uno svincolo poco dopo il ponte dello stadio, sfociando nella attuale via Benito Rossi in zona Avellola. E’ l’unico pezzo reso utilizzabile, soprattutto a beneficio di via dei Mulini, che almeno riesce ad arrivare alla tangenziale Sud evitando il ponte di Santa Maria degli Angeli.

Perché raccontiamo, sotto Natale, una storia così triste? Perché, a dispetto dei No Tav, ci sono leggi che impongo ai sindaci di “chiudere” le strade quando si superano certi livelli di CO2.

Chiudiamola così. Se fossero state completate le due opere che abbiamo sommariamente descritto, si sarebbero evitati tutti i disagi lamentati da cittadini comuni, commercianti, operatori economici.

C’è qualcuno al Comune che abbia consapevolezza e autorevolezza per mettere mano al completamento di un progetto che risolverebbe i problemi dell’inquinamento, ma soprattutto cambierebbe radicalmente la mobilità urbana?

Altro che nuovo ponte sul Sabato che sbocca a Torre della Catena andando ad ingolfare Via Posillipo e il malcapitato ponte sul Calore.

MARIO PEDICINI