''Onorevole chi? Ma... mi faccia il piacere'' In primo piano

Gli avvocati, si sa, sono attori che si esibiscono sui palcoscenici dei tribunali italiani.

La gamma è vasta. Dai protagonisti assoluti alle incolori comparse, dai caratteristi ai figuranti, dai melodrammatici ai comici (involontariamente, of course). E’ un mondo variegato, uno spaccato della società, dove si affannano personaggi a volte unici ed irripetibili, a volte conformisti ed omologati, a volte tristi e cupi, a volte esuberanti e vulcanici.

Ho così facilmente pescato dalle profondità del tempo un simpatico episodio.

Premessa. Prima del 1997, una volta superato l’esame di abilitazione ci si iscriveva nell’albo dei procuratori legali e dopo sei anni in quello degli avvocati. Poi l’albo dei procuratori legali è stato soppresso ed è rimasto quello degli avvocati. Non mi avventuro nel delineare la differenza fra l’uno e l’altro (che, in verità, non è mai stata ben percepita), evitando di scivolare nell’incolore legalese, perché di nessuna utilità per la comprensione del fattariello.

Basti sapere che si era prima del 1997 ed io ero un giovane procuratore legale che, con il coraggio dell’incoscienza, cominciava ad avventurarsi nella professione forense.

Avevo un’udienza di modifica dei patti della separazione fra due coniugi innanzi al presidente del tribunale di Avellino, un giudice autorevole, autoritario e rispettato; il mio contraddittore era un onorevole e professore universitario, molto stimato e conosciuto.

Insomma, l’unico personaggio in cerca d’autore … ero io. Dato il contesto e gli altri protagonisti, dire che ero un po’ teso è un eufemismo. Mi sembrava di dover affrontare un esame e pensavo: è proprio vero che non finiscono mai.

Nella memoria difensiva, nel sostenere le ragioni della mia rappresentata, avevo confutato la tesi dell’illustre contraddittore-professore, difensore del marito, facendo mio un suo articolo in cui affermava l’esatto contrario di quello che, ora, caldeggiava in sede giudiziaria. Credo che la cosa lo avesse un poco infastidito. Mi guardava come per dire: questo giovane è nu ….. (omissis).

Nella sala d’attesa vi era il crescente brusio delle voci dei difensori in attesa del proprio turno, ogni tanto richiamati ad abbassare il tono dall’usciere addetto ad introdurli nella stanza presidenziale dove si svolgevano le udienze.

Si apre la porta, esce l’usciere e mi ritrovo catapultato innanzi al presidente del tribunale di Avellino che, svolta la relazione sulle posizioni delle parti contendenti, invita i difensori ad una breve discussione, assistito dal cancelliere deputato alla verbalizzazione.

Per educazione, anzianità e bon ton lascio che sia l’illustre collega ad aprire le danze.

Questi parte dettando al cancelliere: “è comparso l’onorevole, professore, avvocato ….. il quale deduce ……”, e via cantando la filippica delle ragioni a supporto del proprio assistito (semplicemente ignorando le argomentazioni contrarie spese nel suo articolo).

Resto colpito dall’incipit avversario … alla marchese Del Grillo e penso: dovrò anch’io adeguarmi, non farmi intimidire, stupire con effetti speciali.

Quando mi viene data la parola dal presidente, detto testualmente: “è comparso il signore, dottore, procuratore Ugo Campese il quale deduce ….”.

Tre titoli contro tre titoli: lui è onorevole, io sono signore; lui è professore, io sono dottore; lui è avvocato, io sono procuratore legale. Tre a tre, palla a centro.

Il presidente riesce a stento a trattenere l’ilarità suscitata dal mio coup de théâtre ed a chiudere l’udienza in maniera decente. Si riserva di adottare la propria decisione che sarà comunicata dalla cancelleria.

Esco fisicamente sfinito dall’impari confronto dei titoli (novello Golia contro Davide), ma sicuro che in ogni caso vincerà l’onorevole professore avvocato avversario; sia nel caso dovessi avere ragione io, in quanto autore della dottrina da me citata, sia nel caso dovesse avere ragione lui, come difensore della controparte.

Dopo una settimana esce il provvedimento che mi vede inaspettatamente vincitore come difensore. Un risultato megagalattico, inaspettato.

Vabbè direte, fa parte della dialettica processuale. Una volta si vince, una volta si perde. Dove è la novità?

La cosa sconvolgente è che vengo informalmente invitato a conferire con il presidente del tribunale di Avellino.

Mi preoccupo. Vuoi vedere che ho fatto qualcosa di sbagliato? Ho mancato di rispetto all’illustre collega? Ho messo in imbarazzo il presidente?

Mi reco ad Avellino e vengo introdotto dal solito usciere nella stanza del presidente, il quale, toccandosi le bretelle sul busto pingue ed assaporando il sigaro, mi accoglie con un grande sorriso invitandomi a sedere.

Sono spiaggiato in poltrona, in un disagio disumano. Alla Fracchia, per intenderci.

Poi finalmente svela l’arcano: “Avvocato Campese (mi aveva promosso ad avvocato nonostante fossi, da poco tempo, procuratore legale) siete stato molto bravo. Mi siete piaciuto. Specialmente quando ai tre titoli dell’illustre contraddittore avete contrapposto i vostri tre titoli. Geniale. Chapeu.”.

Da oggi in poi quando venite in tribunale ad Avellino passate a trovarmi perché voglio avere il piacere di fare due chiacchiere con lei.”.

Sono uscito inebetito, pensando ad uno scherzo, ad una presa per il … cubo.

Solo con il tempo ho capito la lezione.

Mi è venuto in mente lo sketch di Totò con l’onorevole Trombetta. “Onorevole chi? Ma … mi faccia il piacere.”.

Nella vita contano le persone, non i titoli.

O no?

UGO CAMPESE