Piazza Orsini e dintorni In primo piano

Benevento è una città per molti versi sconosciuta. Presente nella storia di quasi tre millenni, è stata alluvionata e terremotata, oltre che teatro di scontri di guerre che fanno parte della storia dell’umanità. I fiumi, che sono la sua risorsa più importante, determinano anche la conformazione dell’abitato: il crinale che li divide fino a congiungerli (a Pantano arrivano Calore, Sabato, Serretelle).

In un momento nel quale notevoli risorse finanziarie cadono dal cielo, si riaccendono antichi entusiasmi che sollecitano costruttori, urbanisti e amministratori di governo del territorio. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, non c’è adeguata partecipazione del cittadino.

Si può comprendere la sfiducia, per le tante occasioni mancate o sprecate, ma, senza la premura e il contributo della “base”, nessuna classe dirigente fa lo sforzo ulteriore all’impegno dell’ordinaria amministrazione. La Benevento di oggi offre, invece, l’occasione di un coinvolgimento senza risparmi di passione, interesse, impegno oltre la pur importante “ordinaria amministrazione”.

Una ventata, che ci auguriamo non solamente di facciata, riporta agli onori della riflessione le prospettive di precisi interventi nella zona attorno alla Cattedrale. La zona, cioè, più “trascurata” nel mezzo secolo del dopoguerra e non adeguatamente “inquadrata” in alcune, parziali, contaminazioni del moderno di qualità (l’allusione è all’intervento Gabetti-Isola di fronte alla Cattedrale).

La incapacità di amministratori e privati proprietari a rimettere in piedi ciò che i bombardamenti del settembre 1943 ridussero a cumuli di macerie lascia, ancor oggi, alcune aree abbandonate (Pisciariello, piazza Santa Maria) quali preziosi scrigni di ricerca e di valorizzazione del “profondo”, potendosi arrivare alla scoperta di resti di attività umane e di “costruite” testimonianze di migliaia di anni fa.

Certo, la valorizzazione dei resti antichi non deve per forza determinare la distruzione o la svalutazione di ciò che viene “dopo”. Ma il dopo, pur necessario, non può giustificare la demolizione o l’affossamento del vecchio, che comunque è testimonio e documento da far valere per quel fenomeno di nomadismo che è il turismo. Turismo come economia, come diceva il professore Umberto Fragola: il turismo non è il turista tedesco che si incanta a guardare l’arco di Traiano e scappa via, senza fermarsi al ristorante e all’albergo.

Ciò che è stato scoperto sotto la pavimentazione moderna della Cattedrale (contenuto nel Museo Archeologico) ci fa pensare che nell’area ancora oggi in stato di sostanziale abbandono (diciamo pure di incertezza programmatica) ci possa essere quanto basta a far venire fuori qualcosa di forse più importante di Pompei. Perché si arriverebbe molto più indietro del periodo d’oro dell’Impero Romano.

Nel frattempo, però, occorre attrezzare gli uffici pubblici, i centri culturali (Università in primis), le animazioni politiche a valorizzare ciò che è “visibile sopra ciò che sta sotto”. Abbiamo il dovere, infatti, di evitare il pericolo di trascurare, per valorizzare le cose antiche, i prodotti dei tempi recenti. Non è soltanto per obbedire a leggi vigenti che non si butta giù la Scuola Media Torre (operazione giustificata finora dal fatto di disporre dei milioni di euro necessari per l’abbattimento e la ricostruzione).

E’ possibile, invece, dare risalto a pagine di un passato, fosse pure non glorioso, ma che comunque ha lasciato tracce. E queste tracce non devono scomparire.

Immagino ciò che si potrebbe fare su quella spianata laterale alla Cattedrale che tutti chiamiamo piazza Santa Maria. Piazza Santa Maria era la piazza centrale della Benevento sette-ottocentesca. Non era grande, ospitava la fontana con la statua di Orsini in un gioco di razionali proporzioni. La spianata di oggi aizza il dibattito sul dilemma se veramente la fontana stava dove oggi si trova, ricostruita e riportata alla luce nel 1992, sindaco Pietrantonio, con l’operato dell’architetto Castiello.

Già negli studi del Piano Regolatore degli anni ’80 (assessore Silvio Ferrara), si ipotizzava una funzione di questo slargo, dandogli non un destino di parcheggio di automobili e neanche di supermercati (con rispetto di essi e dei frequentatori). Recenti proposte partono dal lavoro di Sara Rossi (il volume del Piano del centro storico di Benevento è stato adottato in facoltà di architettura di università italiane).

Credo ci siano materiali e tecniche costruttive per riportare sulla spianata tutte le descrizioni del passato più recente. I tesori antichi restano sotto e si vedrà come si potranno offrire alla visita del turista o dello studioso. Ma sulla “lastra” della spianata si possono incidere i tratti delle strade e dei vicoletti, i nomi dei commercianti e delle ditte che in quell’antico cuore della città hanno operato (penso a Giuseppe Alberti, il cui nome è vivo nel Liquore Strega).

Chi abbia la pazienza di guardare bene il primo tronco del Corso Garibaldi, dopo la Cattedrale, troverà un basolato, dei marciapiedi e un accesso verso la piazza. Quello è il “segno” di un vicolo che dal Corso menava a piazza Santa Maria ed era intitolato a Roffredo Epifanio. Fino al 1972, quando il sindaco Lucio Facchiano fece spianare tutti i fabbricati, a Via Roffredo Epifanio (beneventano, fondatore per conto di Federico II della Università di Napoli!) c’erano attività artigianali, negozi, ultimo lembo di quel che era stata la zona prima della guerra. Ebbene, lasciare sulla nuova pavimentazione (che ci auguriamo di poter vedere) il nome di Roffredo Epifanio e quelli dei commercianti che sono passati di là e anche i nomi di quelli che hanno abitato nei palazzi prima danneggiati e poi distrutti sarebbe un atto di civiltà. E sarebbe pure un modo intrigante di far pensare e riflettere il visitatore.

Vale per tutti la preghiera scritta nella pietra della Croce del Viale degli Atlantici: Bone Viator, ferma i tuoi passi…e rifletti, leggi questi nomi, qui è passata la storia non solo di Benevento. Perché Benevento non è solo quello che vedi con l’occhio frettoloso, già intravisto da chi intitolò il suo negozio Vach ‘e pressa.

MARIO PEDICINI