Ricordi di una centenaria... Titina Romano e Padre Pio In primo piano
C’era anche Maria Pyle, da tutti conosciuta come Maria l’Americana. Era venuta in Italia per seguire Maria Montessori, che era andata negli Stati Uniti per motivi di studio. Maria l’Americana volle conoscere Padre Pio di cui le aveva parlato la Montessori e non si mosse mai più da San Giovanni Rotondo. Portava sempre una grossa croce al petto...
Titina Romano è un fiume in piena. Parla con straordinaria precisione di fatti avvenuti tra il fascismo, la guerra e i primi anni della Repubblica. Riscontrando per scrupolo enciclopedie e libri di storia, vedo che nulla è improvvisato e nulla è impreciso. E’ proprio vero che se uno non perde la memoria a sessanta-settant’anni poi la conserva intatta. E Titina Romano di anni ne ha già 102. Il fratello Peppino ne ha 91 e l’altro fratello Nazzareno (zio Reno, 87 anni, adesso capite di chi si tratta) ne seguono fiduciosi la traccia.
Il padre Luigi fu un facoltoso e ingegnoso commerciante di carni. Riforniva la Caserma Alessandro Guidoni della Regia Aeronautica, vari ospedali e la Nunziatella venuta a febbraio del 1943 a Benevento per scansare i bombardamenti alleati a Napoli. Per la storia locale, la Scuola Militare della Nunziatella si acquartierò nell’edificio del nuovo ospedale civile oltre la chiesa dell’Angelo. E quando per i bombardamenti di settembre finirono in macerie i due ospedali cittadini (il San Diodato e il San Gaetano), il popolo imprecava poco rassegnato: ‘U spitale adda fa ben’ a Nunziatella.
Papà aveva alle dipendenze tre autisti, si muoveva con automobili e autocarri anche fuori del territorio provinciale. Uomo di larghe vedute non si accontentava del commercio. Insieme a Minocchia gestiva sul finire degli anni Trenta il grande albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso. Dove affluiva l’alta società non solo romana.
Qualche nome?
Posso dire che in occasione di un Natale (forse il 1938) ho conosciuto Alida Valli e nella sala giochi ho fatto con lei più di una partita a ping pong. Era bellissima.
D’inverno Campo Imperatore era la più importante stazione sciistica dell’Italia centrale e d’estate giungevano turisti di un certo livello. Basta dare uno sguardo alle cartoline dell’albergo per avere un’idea del livello sociale della struttura.
E però papà dava ospitalità e rifocillava anche i gruppi di pellegrini di passaggio, riparandoli in caso di cattivo tempo.
Lui era un generoso. A Benevento, per esempio, a chi aveva bisogno ordinava: “Andate da Iannelli e pigliate quello che vi serve”. Iannelli sta ancora qui, vicino casa, a via Gaetano Rummo. Peccato che non c’è più, nella famiglia Iannelli, nessun testimone diretto di quegli anni di prima e dopo la guerra.
Concetta Romano all’anagrafe, ma Titina per tutti, è nata nel 1921. Prima che sul Gran Sasso arrivasse Benito Mussolini arrestato dopo il 25 luglio del 1943 (da lì fu poi prelevato dai Tedeschi che lo misero a capo della Repubblica di Salò), Titina sciatrice fu adocchiata dai gerarchi dello sport. I genitori non diedero l’autorizzazione a rispondere alle chiamate…. La vedete nelle foto in perfetta tenuta da sciatrice.
Come nasce il suo legame con Padre Pio?
Era una amicizia di famiglia. Mio padre, Luigi Romano, frequentava Grazio Forgione, papà del fraticello e pure lo zio Michele. Io ero coetanea e amica della figlia di Michele che si chiamava Pia in omaggio allo zio. Pia Forgione ha fatto il Magistrale a Benevento con me e spesso rimaneva a dormire a casa mia, l’amicizia con lei è durata per sempre. Ma c’era un rapporto di stima e confidenza con tutta la famiglia. Ci univa la forte fede trasmessa dalla figura, per noi già santa, di Padre Pio. Papà pregava in ginocchio sotto il letto.
Ho capito bene? Steso sotto il letto?
Non steso, inginocchiato sotto il letto. All’epoca i letti erano alti, continuiamo a dire “scendere dal letto”, allora si scendeva perché…prima si saliva. E sotto i letti si usava sistemare cose diverse. Bene, mio padre si raccoglieva in preghiera cercando in tal modo l’isolamento.
A che età è morto suo padre?
Papà saltò in aria sopra una bomba rimasta inesplosa sulla strada tra Santa Croce del Sannio e Morcone. Fu soccorso e portato a Morcone, nella speranza di trovare un medico. Spirò nella piazza di Morcone. I tedeschi se n’erano andati e a Benevento c’era il comando alleato. Era novembre del 1943.
Negli anni ’30 e ’40 la strada da Benevento a Pietrelcina non era asfaltata. Si faceva ogni volta accompagnare?
Ma no, non sempre: papà aveva tre automobili ma a Pietrelcina si andava anche in bicicletta, in compagnia si faceva pure a piedi lungo la strada per i Cardoni. Pia era compagna al Magistrale di Benevento. Spesso si fermava a dormire a casa mia. Diventammo inseparabili.
Da Pia a Padre Pio, come avvenne il “transito”?
Fu la guerra a determinare una lunga permanenza a San Giovanni Rotondo. La mia famiglia si allontanò da Benevento bersagliata dai bombardamenti e si fermò a Beltiglio, da dove mio padre continuava a macellare e fornire carne agli alleati, come aveva fatto prima con i tedeschi e con l’Aeronautica della Caserma Guidoni.
Io seguii la mia amica prima a Pietrelcina e poi a San Giovanni Rotondo, dove la guerra sembrava lontana e lo zio monaco garantiva una severa protezione. C’era poi in zona un fratello di papà, don Antonio Romano, che era parroco a Carlantino, sempre in provincia di Foggia, al confine col Molise.
Famiglia molto religiosa…
Papà aveva pure due sorelle suore. Anna (zia Nanninella) era di clausura a Napoli, Carmela (zia Carmelina) una colonna del Pronto Soccorso all’Ospedale di Avellino, ottenne la dispensa per assistere lo zio parroco di Carlantino colpito da paralisi.
Prima della guerra Padre Pio era già famoso?
Si può dire che a Benevento non lo conoscesse nessuno. Fece notizia il commerciante di tessuti Gennarino che, in treno da Benevento, da Foggia se la fece a piedi fino a San Giovanni Rotondo. E Padre Pio pare lo sgridò “Gennari’ non fare più queste cose”. La mia famiglia, grazie ai rapporti di mio padre con il padre e lo zio, cominciava a frequentare le funzioni religiose officiate da padre Pio. Data l’amicizia e la confidenza si può dire che eravamo di casa al convento di San Giovanni Rotondo.
(Nota - Sul Canale 145 della Televisione, viene trasmesso alle sei e alle dieci di ogni giorno un rosario con immagini fotografiche in bianco e nero montate insieme a filmati a colori: nella sigla quella col velo bianco che bacia la mano a Padre Pio è Titina; alla recita di un’Ave Maria è inquadrata tra il pubblico la famiglia Romano, con Reno in seconda fila. Inutile dire che zio Reno ogni mattina accende la tv per recitare il rosario rivedendosi giovinetto).
Ma Padre Pio non vi poteva certo ospitare in convento. Non c’era la clausura?
Ma no, zio Michele (il padre di Pia) aveva una casetta a San Giovanni Rotondo. Andavamo spesso, a piedi, al convento che si trovava in una zona isolata verso i monti del Gargano. Io e Pia potevamo stare insieme a studiare e salire quando era necessario per chiedere consiglio.
A che ora era la Messa di Padre Pio? E’ vero che era alle cinque di mattina, d’estate e d’inverno?
Sempre la sua messa era alle cinque, praticamente di notte. E lui era attento. Una volta si rivolse a Pia dicendo “Senti una cosa, perché stanotte Titina non è venuta?” E aggiunse alzando la voce, per farmi sentire “Perché non l’ho sentita predicare”. In effetti ero tutt’altro che silenziosa…
Ma poi usciva di giorno…
Certo. Padre Pio al mattino era impegnato nelle confessioni, ma di pomeriggio usciva abitualmente con molti uomini che lo circondavano. Conosceva tutti e li salutava chiamandoli per nome. Ecco qui il nostro caro Gerardo. Ah, c’è anche Peppino…
E’ vero che aveva conoscenze anche a Roma?
Fu lui a procurarmi le dispense per l’Università. E poi a risolvere una faccenda di titoli di studio con un funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione, un tal Rotondi. Padre Pio mi indirizzò all’università di Bari, ma poi la scelta cadde su Napoli dove finii per laurearmi in Materie Letterarie al Suor Orsola Benincasa e ho insegnato nelle scuole medie di San Marco dei Cavoti, Pago Veiano, Pietrelcina (col preside Domenico Rossi) e alla Bosco Lucarelli di Benevento (col preside Giuseppe De Lucia)...
Nella foto dove lei suona il pianoforte, insieme a Pia e zio Michele chi sono gli altri due?
Il Conte Johann Telfener, che abitava a Villa Torlonia a Roma e mi diceva sempre: “Imparerai a viaggiare da sola”. Fu amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza. Il conte si intendeva di musica e discendeva da una famiglia foggiana (di origine alto-atesina), da cui era uscito uno tra i più ricchi imprenditori italiani, Giuseppe Telfener costruttore nell’800 di ferrovie negli Stati Uniti.
La donna con la croce sul petto era invece una americana, Maria Pyle, venuta in Italia perché legata alla Montessori, è diventata una seguace di padre Pio tant’è che non si è più mossa da San Giovanni Rotondo. Battezzata a Barcellona col nome di Maria, per tutti a San Giovanni Rotondo era Maria l’Americana.
Il Conte non dà l’idea di un monaco, ma Maria l’Americana sembra una monaca…
Maria voleva farsi suora e si confidò con padre Pio, che le consigliò di impegnarsi come laica nel terz’ordine francescano. E lei obbedì, indossando per tutta la vita un abito con una grossa croce sul petto. Il Conte e Maria l’Americana sono tra i più importanti sostenitori delle opere di Padre Pio, a cominciare dalla Casa Sollievo della Sofferenza.
Il Conte Telfener è stato l’amministratore della “nascente opera ospedaliera”, e nel 1951 pagò 250mila lire un harmonium Petrof spedito da Roma a Casa Sollievo della Sofferenza. C’erano idee chiare sul futuro da realizzare.
Maria Pyle ha contribuito con le proprie ricchezze alla realizzazione del grande complesso ospedaliero. Nata il 17 aprile 1885 nel New Jersey “da ricca famiglia borghese”, nel 1918 fu battezzata a Barcellona col nome di Maria. In America aveva preso contatto con Maria Montessori e la seguì in Italia, interessata alle idee innovative sulla educazione dei fanciulli.
Nel 1923 sente parlare di Padre Pio e, mentre era in vacanza a Capri con la Montessori, il 2 ottobre parte con un’amica per San Giovanni Rotondo. Il 4 ottobre nella chiesetta della Madonna delle Grazie incontra Padre Pio, cade in ginocchio dicendo solamente “Padre!”. A 35 anni Maria cambia vita accettando l’invito “Figlia mia, non andare più in giro, fermati qui”.
Il 26 aprile 1968 muore a San Giovanni Rotondo dopo dieci giorni di degenza a Casa Sollievo della Sofferenza, che aveva contribuito a realizzare. Non solo con le preghiere.
Padre Pio faceva i miracoli, la gente chiedeva di tutto e, pur con un carattere che poteva apparire burbero, infondeva fiducia. Chiedeva preghiera e onestà d’animo. Non chiedeva soldi ai bisognosi ma a quelli che ne disponevano. Il suo sogno era quello di costruire in quella specie di deserto un ospedale. Nel 1925 mise su un piccolo ospedale, poi dopo la guerra partì in quarta con idee chiare, a cominciare dal nome; Casa Sollievo della Sofferenza. La prima pietra il 16 maggio 1947. Ottenne 400 milioni di lire dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration - una specie di Pnrr ante litteram), presieduta da Fiorello La Guardia, il grande sindaco di New York (dal gennaio 1934 al 31 dicembre 1945) al quale è pure intitolato l’aeroporto cittadino.
Ma che aveva da spartire Fiorello La Guardia con padre Pio? Con Pietrelcina forse niente, ma con San Giovanni Rotondo sì che aveva qualcosa in comune. Fiorello La Guardia era americano, ma anche foggiano, essendo figlio di emigrati da Cerignola. Era stato a Foggia nel 1917 in qualità di capitano con i due gruppi di avieri statunitensi inviati presso la scuola di addestramento degli aviatori italiani.
Il primo padiglione della Casa Sollievo della Sofferenza fu inaugurato il 5 maggio 1956. Qualche nome di personalità famose amiche di Padre Pio? Il cardinale Lercaro di Bologna, il presidente del Senato Cesare Merzagora, il professore e scienziato Enrico Medi, la vedova di Guglielmo Marconi, il tenore Beniamino Gigli che con “Mamma son tanto felice perché ritorno da te…” toccava le corde del cuore e dell’anima contadina del futuro santo.
La mamma di padre Pio era morta, il 3 gennaio 1929. La morte del padre, nella casa di Maria l’Americana, avvenne il giorno del Rosario (7 ottobre) del 1946.
Il 1947 fu un anno difficile per la famiglia Romano. Nella Benevento devastata dalla guerra arrivò il tifo e si portò via, a soli 17 anni, Gerardo che sei anni prima aveva fatto la prima comunione (il 29 giugno, San Pietro e Paolo) insieme a Peppino. Col bel vestitino, pantaloni lunghi (all’epoca una sciccheria) il premio era stato un viaggio a San Giovanni Rotondo, Padre Pio esclamò “Ecco qui il nostro caro Gerardo” e, più da lontano, “Eh, Peppì…” Il novantunenne Peppino ammette, oggi, che non era propenso a miracoli e cose mistiche. Ma riconosce che certe cose toccano il cuore. Come quando, la notte del 23 settembre 1968, Titina dormiva a San Giovanni con due figlie di Pia e squilla il telefono. Un po’ titubante andò a rispondere Rachele. La voce al telefono era un comando: “Mario subito in convento…”. Mario Pennelli era il marito di Pia…Padre Pio stava morendo.
Titina si vestì velocemente e riuscì ad entrare nella cripta. L’ultimo contatto con padre Pio fu una carezza e un bacio sulla punta del piede.
MARIO PEDICINI