Ritrovare la libertà In primo piano

Se il tempo dell’emergenza da Coronavirus possa costituire un banco di prova per valutare l’efficienza del sistema istituzionale del Paese non c’è altro tempo da perdere.

Tra le inefficienze e le incongruenze vanno ricompresi stile e tempestività delle comunicazioni. In tempi di tecnologie che annullano tempi e distanze non si possono tirare dagli armadi gli strumenti di uno stato ottocentesco, peraltro adoperati da manovratori improvvisati.

La mole di carta consumata per le autocertificazioni (vuoi dell’imprenditore o del semplice viandante) e per i verbali, per non parlare dei decreti e delle ordinanze, è la dimostrazione plastica di una esibita solennità. Alla quale corrisponde una disperata mancanza di autorevolezza. Il dramma, che non cesserà con la fine del contagio, è la inconsistenza culturale di una grandissima parte della rappresentanza politica. In troppi hanno giocato a minare le fondamenta di un istituto sociale fondato sulla famiglia, irrorato dalla esperienza millenaria della religione, e organicamente intessuto di sapienza giuridica. Evaporati questi riferimenti, la politica non è in grado di dare anima alle istituzioni, che sono diventate scatole vuote.

Nella moltiplicazione dei centri di interesse è svanita la responsabilità, derivante dalla imputabilità di una funzione e di una competenza. Il più plateale prodotto di questo scollamento è stata l’invenzione della competenza concorrente tra Stato e Regioni sfornata dalla riforma del 2001. In vent’anni altri paesi hanno costruito connotati precisi di identità. In vent’anni ancora non sappiamo che significa quella riforma, tant’è che il governo Renzi ne propose il superamento, bocciato dal voto referendario senza che nulla di nuovo sia accaduto da quel dicembre 2018.

La conduzione della crisi da Coronavirus è stata affidata a strumenti giuridici obsoleti, ai limiti del fuori corso. Dal presidente del Consiglio ai presidenti di Regione ai sindaci ciascuno si è sentito titolare del potere di ordinanza, che è uno strumento per provvedimenti “contingibili e urgenti” che non può essere manovrato da chicchessia.

La dotta citazione di articoli e commi ingolfa la maggior parte degli atti, sacrificando la parte dispositiva, come se la fatica per addensare le fonti avesse seccato la vena comunicativa dello scrivano di turno.

E poi le sanzioni, elargite a piene mani da oscuri manovali dell’organizzazione periferica, con l’aggiunta minacciosa di possibili ulteriori conseguenze penali. Se non ci sarà una sanatoria, si moltiplicheranno le persecuzioni amministrative e giudiziarie.

La pretesa di elencare tutto ciò che una persona è autorizzata a fare confligge con la regola aurea del diritto secondo cui “tutto è consentito tranne ciò che è espressamente vietato”. Chi comanda deve rispettare la sfera personale di qualunque soggetto. E tutto quello che deve essere disposto deve non solo rispettare i diritti inviolabili ma deve fare in modo che vadano verso l’accrescimento di quella sfera inviolabile e insindacabile. Perché devo dire ad uno con la coppola dove vado e perché vado? Perché devo rivelare nodi e modi di una relazione per farla rientrare in una lista ideologica dei “congiunti”?

Già tutta quella selva di telecamere è un insulto alla libertà di movimento garantita dalla costituzione. E adesso pensano di farci uscire fuori dal medioevo invitandoci a fornire i dati del cellulare cosicché si possano sommare le informazioni e incrociarle con quelle di chi sa qualche strumentazione satellitare.

La pubblica amministrazione (Governo, Regione, Comune) esiste e deve poter funzionare solo se è in grado di garantire (non consentire, presidente Conte, garantire) il pieno godimento degli inviolabili diritti della persona. Nessuna limitazione dei diritti fondamentali può essere disposta da un ufficiale della pubblica amministrazione. E se ci provasse il parlamento, nell’esercizio della funzione legislativa, ci sarebbe la via dell’esame di legittimità della Corte Costituzionale.

Ripristinare la distinzione delle competenze e l’esercizio del limite: bisogna ripartire da qui. E senza indugio.

Tutta l’economia, la cui vitalità garantisce le entrate fiscali, così come le famiglie e le associazioni e gli individui devono essere lasciati liberi di esprimere le proprie potenzialità. Non può esistere in Europa, dopo la seconda guerra mondiale, uno stato padronale e iperprotettivo fino al punto di poter annegare in un collettivismo autarchico le libertà individuali. Ogni pretesa di questo tipo, del resto, si rivela una beffa ridicola, come l’imposizione delle mascherine a 50 centesimi che, però, nessuno vende.

Nessuna economia si può mettere in moto senza le garanzie della libertà di iniziativa e la semplificazione amministrativa. Che consiste propriamente nella eliminazione di ogni interferenza nelle fasi progettative, esecutive e gestionali. Eventuali responsabilità penali o fiscali si accertano a mancanza commessa e accertata. Interferire in itinere è costume di stato poliziesco, non di stato liberaldemocratico quale dovrebbe esser il nostro.

MARIO PEDICINI