Scuola oggi e domani In primo piano

Cento anni fa Giovanni Gentile dava all’Italia un sistema scolastico pubblico che, andando oltre le intenzioni, ha dapprima messo all’angolo gli istituti privati e, paradossalmente, sul finire del secolo li ha rianimati. Ma certamente non nel senso che indicava nel 1929 Goffredo Coppola, un grecista di Guardia Sanframondi, il cui busto sopravvive nella Università di Bologna. A fine ‘900 e in questo ventennio del ventitreesimo secolo la scuola pubblica è entrata in concorrenza con la fascia più debole del sistema scolastico privato. Una sfida al ribasso che ha fatto sprofondare nelle classifiche la scuola italiana. All’interno di essa chi sta peggio è la scuola dell’Italico Mezzogiorno.

E’ di ciclica attualità la sopravvivenza delle istituzioni sparse sul territorio. Ad ogni primavera si “scopre” che non ci sono i numeri per tenere in piedi ciò che si è costruito negli anni del boom. Proteste e appelli disperati, con motivazioni acrobatiche per tenere in piedi una classe di scuola media in un paese che “fornisce” numeri risibili dalla scuola elementare. Espedienti più vari appartengono ormai alla cronaca: le distanze, la mancanza di strade, la mancanza di mezzi pubblici…

Quando ero Provveditore agli Studi a Vibo Valentia, dopo un incontro in Prefettura, il sindaco di un paese che aspirava a conservare la scuola media, al termine dell’incontro volle essere sincero e leale: “Signor Provveditore, non è vero quello che ho detto in riunione, il mio comune ha due scuolabus in perfetta efficienza”.

Non svelerò segreti d’ufficio se, a fronte della denatalità, già trent’anni fa sono cominciati i giochi di prestigio per mantenere plessi scolastici o addirittura classi con l’espediente delle bocciature o della iscrizione di improbabili allievi che si ritiravano assottigliando la classe che veniva prorogata. Presidi e sindaci che hanno dispiegato le “migliori” energie sono tuttora in circolazione.

Non ci interessa quello che sta succedendo per salvare il salvabile per il prossimo anno scolastico. Riteniamo sia giunto il tempo di un responsabile esame della situazione per ri-progettare tutto il sistema scolastico provinciale. Di chi è la scuola? Dei presidi, dei docenti, degli alunni? Cominciamo dagli alunni. Ogni comune sa quanti sono i nati, anno per anno. La scuola di oggi e di domani è quella che serve a questa utenza. Come e dove raggruppare e dividere questa utenza non è compito delle circolari ministeriali. E’ dovere dei titolari della programmazione sul territorio. Sindaci insieme, non l’uno contro l’altro armati.

Giunga dal basso, poi, una esigenza di riqualificazione della scuola. Qualità, efficienza, contenuti. Scuole che abbiano un tasso di vivibilità almeno pari alle case private da cui provengono gli alunni. Gli edifici di fine ottocento offrivano ambienti nettamente superiori alle abitazioni di provenienza della maggior parte delle famiglie degli studenti. Negli edifici scolastici c’erano i servizi igienici, la luce elettrica, i vetri alle finestre…I modelli degli attuali edifici sono distanti dai progressi fatti dagli ambienti di lavoro, dal tenore di vivibilità di ogni casa. Si dia uno sguardo agli strumenti abituali in uso nelle scuole, libri, attrezzature, palestre. Abbiamo visitato nell’Area di Sviluppo Industriale uno stabilimento in cui si fanno mobili senza falegnami, senza seghe, senza trucioli e segatura. Per lavorare lì bisogna conoscere l’elettronica e l’informatica. In quella fabbrica non c’è posto per inservienti, scopini e tute sporche: ogni residuo di lavorazione giunge, in una catena chiusa, in un ambiente che manda tutto in polvere e l’indirizza verso il cassone sigillato per…appropriata destinazione.

La scuola che ci serve è una scuola che si metta al livello di questa azienda. Che è stata voluta e fondata da un beneventano, ma non ha nessun dipendente beneventano. Vi sembra strano? E perché dovrebbe essere strano?

A che serve tenere in piedi una scuola media che ha esaurito ogni sua funzione di equalizzazione di classi sociali e di alfabetizzazione diffusa, se nel frattempo si è affermata la scuola dell’infanzia, i cui tre anni di sviluppo continuo trovano talvolta un freno nelle elementari e un drammatico stop alle medie, ferme a quel meraviglioso ma storicamente esaurito progetto di crescita. A undici-dodici anni oggi si può dare a tutti (senza il materasso dell’uguaglianza al ribasso) il modello scolastico di Giovanni Gentile, tagliando di uno o due anni la durata del ciclo secondario e facendo uscire verso l’università ragazzi di diciassette anni, in linea con le “usanze” di tanta parte d’Europa. Si salva la scuola, e si salvano le speranze dei nostri ragazzi, se si pone mano a questa visione del nostro presente e del prossimo futuro.

MARIO PEDICINI