Urbanistica. Ferite da sanare ma non solo In primo piano

Le questioni urbanistiche attirano l’attenzione quando c’è qualche inciampo, come la sentenza del Consiglio di Stato (quindi una sentenza definitiva) sulla ricostruzione di fronte alla Cattedrale. La soluzione della complessa vicenda impone qualche passaggio in Consiglio Comunale. Si dovrà lavorare, quindi, negli uffici tecnici, ma anche nei gruppi consiliari, se proprio quel che resta dei partiti se ne volesse tenere alla larga.

Se si è potuto arrivare allo scioglimento di un nodo a distanza di un decennio dagli atti impugnati è anche perché dieci e venti anni fa si è ritenuto che una decisione, tanto importante per gli interessi economici e per i forti aspetti sentimentali chiamati in causa, si potesse adottare nella ermeticità delle procedure amministrative, senza coinvolgere la cittadinanza onde filtrare un “comune sentire”, che dovrebbe sempre essere il retroterra di decisioni che investono gli interessi anche privati.

Il discorso può apparire oscuro. Ci sforzeremo di renderlo più chiaro, restando in tema di urbanistica, ma spostandoci oltre il Corso Garibaldi.

Prima che l’attenzione fosse rivolta solo al Coronavirus e ai sacrifici che impone alla vita individuale e collettiva, è saltata all’attenzione di una parte solitamente sensibile della comunità urbana la vicenda di un progetto per la trasformazione di quell’area che ancora viene individuata come ex campo di calcio del Collegio La Salle.

Fu negli anni ’80 che quell’area, lasciata dai Fratelli delle Scuole Cristiane che chiudevano la loro storica istituzione educativa, fu adattata a provvisorio terminale del servizio di trasporto extraurbano. Di quella idea fui un proponente, nell’interessa degli studenti degli istituti superiori collocati nella parte alta della città, costretti a scendere dai pullman in piazza Santa Maria e sciamare a piedi lungo il Coso Garibaldi. Utilizzando il raccordo autostradale e l’ingresso in città dal ponte sulla 90bis (eliminando i rallentamenti di Viale Principe di Napoli e la strozzatura del ponte di Calore), gli studenti si trovavano a quattro passi dal Liceo Classico dagli Istituti tecnici Alberti e Galilei e dall’istituto Magistrale, restando più distante (ma sempre meno che da piazza Santa Maria) il nascente Istituto Alberghiero.

La provvisorietà della soluzione era data non solo dalla assoluta assenza di strutture atte ad abilitare il tutto come “stazione di arrivo e partenza” di trasporto di persone, ma soprattutto dall’esame in atto di una soluzione complessiva che rispondesse non solo alla funzionalità di un punto di snodo prossimo al centro storico, ma anche alla valorizzazione di un’area non più periferica, anzi vitale per lo stesso centro storico e per una rianimazione dell’area di piazza Risorgimento. Con il presidente della Provincia ing. Luigi Tedeschi (impegnato, tra l’altro, a trovare una sede per il Provveditorato agli Studi) si era allargato lo sguardo anche allo sbocco dell’asse interquartiere Rione Libertà-Rione Mellusi (quella della galleria insabbiata) che avrebbe incrementato il traffico in una zona fin allora considerata periferica e “laterale”.

In maniera molto semplificata si era ragionato attorno ad uno svuotamento dell’area (risultato di un riempimento postbellico del vuoto chiamato “durrupone” verso via Fossi) per la realizzazione nella parte bassa (accessibile proprio dal livello di Ponticelli) di un garage multipiano, di una stazione degli autobus in servizio extraurbano con annessi servici “civili” (leggi: bar e ristorazione) per i passeggeri con interscambio con la rete urbana e il servizio taxi, e ai piani successivi locali per uffici (poste, banche, assicurazioni, rappresentanze eccetera) e appartamenti per civili abitazioni. Il tutto, quasi provocatoriamente, immaginato come un piccolo grattacielo in dialogo con l’abito antico del centro racchiuso nelle mura di viale dei Rettori. Perché la Provincia? Ma perché non solo era tenuta a dare una sede al Provveditorato agli Studi, ma perché aveva (ed ha) in zona i due Istituti Tecnici su un’area (di sua proprietà) di assoluto valore economico.

E’ su questa realtà, oggi leggermente appannata dall’abbandono della Banca d’Italia di quella prestigiosa struttura svuotata di ogni funzione, che bisogna aprirsi e offrire ad un dibattuto pubblico la formulazione di idee per un ambizioso ridisegno di tutto l’area compresa tra il Viale degli Atlantici, Via Tonina Ferrelli e Viale Raffele De Caro, Via Pertini e Viale dei Rettori. E’ in questo unico ambito che può inserirsi qualunque intervento sull’area del terminal bus. Ne abbiamo già scritto su Realtà Sannita richiamando l’attenzione delle amministrazioni comunali competenti nella materia urbanistica, additando (tra l’altro), l’idea di prolungare il Viale Mellusi fino a confluire in Viale dei Rettori, lasciando a Via Perasso una funzione di salotto cittadino nel quale esigere dai bar un tono adeguato al sito, eliminando lo sconcio di tavoli all’aperto a diretto contatto con gli effluvi dei tubi di scarico dei motori.

In quest’area devono trovare adeguata valorizzazione edifici di rilevante cubatura (per tutti la ex Caserma Guidoni solo in parte utilizzata da uffici giudiziari) o di più recente realizzazione (la già citata Banca d’Italia) e i due istituti tecnici, che la Provincia si appresta ad abbattere e riedificare. La stessa funzione di piazza Risorgimento potrebbe venire modificata radicalmente una volta liberata dalla funzione di deposito-parcheggio di autovetture assumendo (ad esempio) una funzione di arena attrezzata per spettacoli, concerti, e dotata di verde. Ma è tempo di immaginare una “funzione” (come dicono quelli che parlano bene) al terrapieno che da piazza Risorgimento giunge a Via Pertini, che è ormai un viale urbano e non più la circumvallazione secondaria di una volta.

Forse si arriverebbe a ripensare la politica di palazzi per civili abitazioni che stanno sorgendo un po’ dovunque lungo gli assi esterni della città, ciò che comporta costi elevati per i servizi comunali. Una visione complessiva di quell’area da qui a cinque anni potrebbe essere anche il terreno fecondo per definire i programmi di chi vorrà cimentarsi per la futura amministrazione. La città non ha saputo rimarginare le ferite dei bombardamenti del 1943. Potrebbe provare a sistemare gli effetti delle improvvisazioni degli anni del boom.

MARIO PEDICINI