Angelo Moretti e i Patti Educativi territoriali Politica

Angelo Moretti siede sui banchi dell’opposizione a palazzo Mosti, dall’ottobre dello scorso anno. Ma il suo impegno per la collettività ha radici ben più remote, soprattutto nel campo del volontariato. Leader dell’associazione politica Civico22, attualmente è presidente della Rete di Economia Sociale Internazionale Res-Int, della Rete di Economia Civile “Sale della Terra” e referente della rete dei piccoli comuni del welcome, co-autore del volume “L’Italia che non ti aspetti. Un manifesto per una rete dei piccoli comuni del welcome”. Co-autore e curatore del volume “Ricucire le campanelle. Budget educativi: un metodo innovativo per il dialogo tra scuole, territorio e comunità educative.”

Sono passati ormai più di quattro mesi da quando il sindaco Clemente Mastella è stato riconfermato alla guida del comune di Benevento. Come giudica questi primi mesi di governo cittadino?

Vivo la mia prima esperienza in consiglio comunale per cui mi è difficile operare un confronto con le precedenti, ma posso dire che al momento mi stupisce in positivo la buona collaborazione tra tutti i gruppi consiliari  presenti a palazzo Mosti, mentre i primi mesi mi hanno purtroppo confermato ciò che già si sapeva in città: per il sindaco Mastella, noi, tutti i beneventani, siamo uno sgabello, un trampolino di lancio per altri suoi interessi politici. Ci sono assessori di discrete e ottime qualità e autenticamente impegnati verso il bene comune, ma si avverte l’assenza di una direzione di visione di insieme nella giunta.

Durante la campagna elettorale, uno dei punti su cui ha focalizzato l’attenzione è stato quello inerente la dispersione scolastica. Il nostro, purtroppo, è un territorio dove sono molti i ragazzi che, per vari motivi non terminano gli studi; altri, invece, completano il loro percorso formativo in maniera decisamente forzata. Cosa si può fare in merito per venire loro incontro e per far si che possano avere un futuro in termini di inserimento nel mondo del lavoro?

Quando una comunità perde i suoi studenti deve fermare la sua “corsa” e riflettere. Durante il lockdown, con il gruppo di ricerca del professore Vasca di Unisannio, abbiamo censito oltre cinquecento alunni dispersi o a rischio di dispersione in sole sei scuole superiori indagate, il che significa che rischiamo di costruire una società adatta solo ai forti e ai valorosi, che spesso coincidono con quelli fortunati, che hanno tutti gli agi in casa e in famiglia. Uno degli strumenti più moderni per “fermare” la comunità cittadina e provinciale e portarla a riflettere e agire per scongiurare la dispersione scolastica sono i Patti Educativi Territoriali, una forma di accordo di tutta la comunità adulta di una città a non voler lasciare indietro nessuno, offrendo spazi sportivi, ludici, culturali e sostegno domiciliare, ovvero un ponte sempre aperto tra scuola e territorio che includa in una progettazione personalizzata tutti i minori già dispersi o a rischio di dispersione. Si possono misurare i fattori “predittivi” di un abbandono scolastico, in cui i voti bassi e le assenze sono solo alcuni dei “sintomi”, e siccome si può pronosticare un abbandono bisogna essere tempestivi nell’organizzare le risposte, offrendo a un giovane in difficoltà percorsi paralleli di formazione che portino all’innamoramento verso la conoscenza, la socialità sana e le arti. La preparazione al mondo del lavoro è solo uno degli aspetti: la vera sfida pedagogica, secondo autori diversi come Morin e Galimberti, non è nel costruire “l’offerta”, il ventaglio di proposte sul mercato liberista, ma è nell’accompagnare la formazione di “domande di senso” nei giovani che possano dare nuovi significati e altrettante direzioni alle società che contribuiscono a costruire.

Cosa si può fare, a suo parere, per rilanciare le zone deboli della città? Mi riferisco al rione Libertà e alle periferie, troppo, spesso dimenticate, che balzano agli onori delle cronache solo in campagna elettorale.

Il rione Libertà vive come una ferita il grande tradimento del progetto “Spina Verde”: quelle decine di milioni di euro dovevano servire a garantire una nuova narrazione del rione, come un posto adatto e attrezzato per i giovani di tutta la città, dalla casa della musica alla mediateca. “Libertà” poteva diventare il quartiere moderno, dei giovani universitari, della qualità del tempo libero vissuto dentro spazi estetici e architettonici di incontestabile bellezza. Purtroppo, le deiezioni dei cani mai raccolte nel verde urbano, le fontane che diventano ricettacolo di topi e zanzare, le panchine vandalizzate, i canestri divelti e la mediateca che diventa sede di un ufficio pubblico, non più spazio per i giovani, sono lo specchio di un fallimento, al quale si può comunque ancora porre rimedio, ma c’è bisogno di nuova mentalità. Nei quartieri, non solo a Benevento, non servono milioni di euro per realizzare opere architettoniche e giardini se poi non si accompagna la nascita con degli investimenti mirati sul capitale sociale, se non si fa un lavoro costante di cura delle relazioni di prossimità e di protagonismo della cittadinanza. L’epoca delle grandi opere si è conclusa, peraltro male; serve oggi una nuova forma di investimenti nelle micro opere sociali: si avverte la necessità di interventi che aiutano i padroni a raccogliere da terra gli escrementi dei propri, che prevengano il vandalismo giovanile, che conservino i canestri su un campo di basket grazie all’inserimento, tanto per fare un esempio, di educatori sportivi. Di questi e tanto altro, avrebbe bisogno, non solo il rione Libertà, ma anche molte altre zone cittadine, tra le quali, sicuramente le contrade più periferiche.

Lei, oltre ad essere un rappresentante del consesso cittadino, è da sempre impegnato nel campo del volontariato. Con la Casa di Betania, ha offerto alloggio, dignità e possibilità di rinascita a molte persone. Questa comunità pastorale è ormai una realtà consolidata anche nel nostro territorio. Ci racconti un po' come operate.

L’Orto di Casa Betania è un piccolo miracolo di cui tutta la città dovrebbe andarne fiera. Quando le Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli ci hanno lasciato quel terreno incolto in via Marco da Benevento, sognavamo di vedere realizzato proprio ciò che oggi c’è in quel fazzoletto di terra. Ogni persona fragile trova un suo spazio di lavoro e di espressione, i clienti non sono semplici clienti perché oltre a godersi la bellezza del posto e dei suoi servizi sentono di “partecipare” al destino dell’Orto, sono quelli che in economia vengono chiamati “prosumers”, produttori-consumatori. La produzione biologica e la produzione di coesione così camminano insieme. In 13 anni, l’Orto di Casa Betania ha accolto oltre cento persone in misura alternativa al carcere, migranti in cerca di asilo, giovani beneventani e persone con disabilità e oggi offre lavoro stabile a sette famiglie.

Il consorzio “Il Sale della Terra” è un’altra interessante realtà che la vede impegnato personalmente e con entusiasmo. In queste iniziative, i giovani la seguono. Se si, lei ritiene che possano veramente rappresentare il volano per una rinascita reale e un rilancio del territorio?

Il futuro delle città medie e piccole non può certamente essere il liberismo o il mercato globale. Nella globalizzazione le aree interne tendono a scomparire e a essere marginali, la ripresa di un luogo storico come Benevento passa per il paradigma dell’economia civile, quel tipo di economia che oltre a generare ricchezza produce relazioni e qualità della vita. “Sale della Terra”, nel suo piccolo, si muove in questo solco, non solo a Benevento ma in sei regioni italiane. La nostra speranza è che questa piccola storia beneventana possa davvero seminare qualcosa di buono qui e oltre le mura longobarde.