Si vota l'8 e il 9 giugno 2025, cinque referendum abrogativi: dalle tutele lavorative alla cittadinanza Politica
Lavoro, appalti e cittadinanza: sono questi i tre temi cruciali, spalmati su cinque quesiti referendari, ovvero, cinque referendum abrogativi, sui quali il corpo elettorale italiano sarà chiamato a esprimersi nelle giornate di domenica 8 e lunedì 9 giugno.
Per essere validi, i referendum dovranno superare il quorum del 50% più uno degli aventi diritto.
Gli elettori riceveranno 5 schede, una per ogni quesito, e potranno esprimersi con un SÌ (per l’abrogazione) o con un NO (per il mantenimento della norma).
Potranno votare anche i fuorisede: studenti e lavoratori temporaneamente lontani dal comune di residenza, previa richiesta entro il 5 maggio; ed i residenti all’estero: iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), i quali riceveranno il materiale elettorale per posta.
Vediamo, nel dettaglio, i cinque quesiti.
Abrogazione del contratto a tutele crescenti.
Il 1° quesito recita: “Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante ‘Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?”.
L’obiettivo del quesito referendario è abrogare la disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. La normativa vigente prevede che, nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo.
Licenziamenti nelle piccole imprese.
Il 2° quesito recita: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?”.
L’obiettivo è cancellare il tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese: in quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Il proposito, dunque, è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite.
Contratti a termine.
Il 3° quesito recita: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?”.
Se approvato, il quesito referendario punta alla riespansione dell’obbligo della causale giustificativa anche per i contratti (e i rapporti) di lavoro di durata inferiore ai 12 mesi e all’esclusione del potere delle parti di individuare giustificazioni per la stipula (o proroga oppure rinnovo) di tali contratti.
Responsabilità in appalto.
Il 4° quesito recita: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici?”.
L’obiettivo del quarto quesito è intervenire in materia di sicurezza sul lavoro. La norma vigente come è scritta attualmente stabilisce la responsabilità solidale dell’imprenditore committente con l’appaltatore e con ciascuno dei subappaltatori “per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA)”. In caso di esito favorevole del referendum, il committente sarebbe responsabile e dovrebbe risarcire i danni subìti dal lavoratore anche se derivanti da rischi specifici dell’appaltatore o subappaltatore.
Cittadinanza italiana.
Il 5° quesito recita: “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?”.
L’obiettivo è ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia necessario per richiedere la cittadinanza italiana, estendendo automaticamente questo diritto anche ai figli minorenni dei richiedenti. La proposta mira a facilitare l’integrazione dei cittadini stranieri che risiedono stabilmente nel nostro Paese, riconoscendo il loro contributo alla società italiana.
ANNAMARIA GANGALE