Ancora riforme? Società
Quando si parla di riforme, bisognerebbe avere la decenza di dichiarare se sulla problematica di cui si intende investire il parlamento non ci sia già qualche legge in Gazzetta Ufficiale. Il problema, in Italia, non è che non si facciano le riforme; bensì che le riforme sono anche troppe, ma non si applicano.
Ho già scritto altre volte di un “disguido”. Anche quest'anno il Presidente della Repubblica si è rivolto alle comunità locali mediante un messaggio indirizzato ai prefetti. Che si sappia, i legittimi rappresentanti (democratici, perché eletti) delle comunità sono i sindaci. Così afferma la Costituzione (riformata nel 2001) all'art. 14: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Non ci sono prefetti tra i soggetti costitutivi della Repubblica.
Come mai dal Quirinale, anziché rivolgersi ai sindaci, scrivono ai prefetti? E come mai i sindaci, compresi nella loro fascia tricolore, assistono alla cerimonia del 2 giugno, udendo con le loro orecchie a chi il Presidente manda il messaggio, senza battere ciglio? E sì che quando, presidente Carlo Azeglio Ciampi, mi capitò di notare la stonatura, sul palco delle autorità, punzecchiai sindaci tricolori astanti. La “stonatura” non è stata notata da nessun commentatore, forse per eccesso di ossequio all'altissima carica della Repubblica.
Un esempio ben più interessante è dato dalla legge di riforma del sistema amministrativo, con la separazione della attività di indirizzo da quella di gestione. Quest'ultima è di esclusiva competenza dei “dirigenti”. Ciò a partire dalla legge 142 del 1990, per finire al Decreto legislativo n. 29 del 1993. Il nuovo “sistema” è stato blindato con il divieto di avocazione, che era un “pilastro” del vecchio diritto amministrativo: il Ministro, se si trovava di fronte ad un funzionario riluttante, non doveva far altro che “avocare” la questione e così esercitava il “comando”. Oggi né un Ministro, né un direttore generale può avocare a se questioni che siano di competenza di dirigenti semplici o di funzionari sottomessi. Il superiore può ordinare, può minacciare, ma non può prendere materialmente il “fascicolo” e curarlo lui; tutt'al più può passarlo ad altro “ufficiale competente”.
Ora si dà il caso che il sindaco di Benevento ha avuto da ridire, perché, dopo che è stata emanata una “grida” per mettere fine ad abusive occupazioni di suolo pubblico da parte di qualche bar, il dirigente Lanzalone si era permesso di procedere con le sanzioni previste dalle norme del caso. Ma, sempre a proposito di sindaci, se un Ministro ha annunciato che ha predisposto un provvedimento urgente per consentire ai sindaci di togliere le bancarelle da presso i monumenti storici, qualcuno potrebbe pensare che, fino ad oggi, i sindaci non avessero tale potere. E chi, se non il sindaco, comanda sul commercio?
E' pur vero che il Ministro dell'Istruzione ha diramato di recente una circolare con la quale toglie ai dirigenti capi degli uffici periferici il potere di chiudere gli uffici stessi (senza regalare giorni di festa ai dipendenti, ma solamente imputando loro giornate di ferie o disponendo il recupero delle ore non prestate quando ce ne fosse maggio bisogno), invocando addirittura un articolo del TULPS del 1939. Laddove TULPS sta per Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.
La legge 142 del 1990, di riforma delle autonomie locali, istituisce la figura del “dirigente”, a cui fanno capo le responsabilità gestionali. In 24 anni nessuno ha pensato di eliminare la figura del “segretario comunale”, funzionario del Ministero dell'Interno tradizionale controllore dell'ente locale. Se ci sono i dirigenti, che ci sta a fare il segretario comunale? Nessuno ha sciolto l'enigma, anche se si sarebbe potuto capire che qualcosa di nuovo c'è nell'aria se presso i comuni (e le province) sono giunti i “revisori dei conti” e sono scomparsi pure i CoReCo (Comitati Regionali di Controllo).
Dovrebbe comunque essere sicuro che il segretario comunale non è un dipendente del Comune, anche se il sindaco lo “chiama” da un elenco apposito. Orbene, al Comune di Benevento, rimasto a corto di dirigenti, hanno deciso di affidare al segretario comunale anche la direzione di un paio di ripartizioni di competenza dirigenziale. Plastico esempio di, come minimo, conflitto di interessi (il controllore che controlla se stesso), di commistione di competenze, se non proprio di illegittimità “in nuce”. In parole semplici, il segretario comunale non è un dirigente del Comune; se il Comune di Benevento gli vuole conferire un contratto da dirigente, deve “optare”: o l'uno o l'altro, non e l'uno e l'altro.
Fuori discussione dovrebbe essere la modalità di assunzione dei dirigenti, cioè il concorso pubblico. Ma qui sembra che uno voglia versare aceto sulla ferita. L'unico dirigente amministrativo che il Comune di Benevento si ritrova è un “contrattista” tratto dalla lista dei non eletti del Partito Dominante. (A lui, nell'emergenza, è stata affidata a scavalco la guida di altre ripartizioni, in attesa che una apposita commissione provveda a scrutinare aspiranti da contrattualizzare “a tempo determinato”).
MARIO PEDICINI