Bene dal vento Società

Verso le otto della sera del 2 luglio 1990 Giovanni Paolo II ringraziò i fedeli accorsi allo stadio che oggi è intitolato a Ciro Vigorito. Ma ringraziò anche Benevento, pronunciando quasi staccate le parole Bene e Vento, perché dopo che si era manifestata la città si era presentato un benefico venticello.

Era presto, all’epoca, per immaginare che il nostro vento sarebbe diventato fonte di energia e di cospicui guadagni. Era successo pure con l’acqua dei nostri fiumi: Inondazioni e alluvioni sì, no a dighe e laghetti collinari per fare riserve e sfruttamento di tale risorsa. Alle acque ci ha pensato qualche autorità nazionale per realizzare l’invaso di Campolattaro. La risorsa vento è stata individuata e apprezzata da investitori venuti da fuori. Per un certo periodo il Sannio Quotidiano impegnò l’ultima pagina per rivolgere al Provveditore agli Studi dell’epoca (che ero io) una lettera aperta contro le pale eoliche al tempo affacciatesi nell’area fortorina.

Tutto quel ben di Dio che consente alla provincia di Benevento il primato di produzione di energia elettrica dall’eolico è stato realizzato con la ostilità di amministratori e “benpensanti”, rivelatisi intransigenti tutori dell’ambiente. Stando con i piedi per terra si sarebbero potute realizzare alleanze, per ottenere approvvigionamento a condizioni di favore per gli abitanti dei comuni interessati alla “invasione” di pale e torri sempre più grandi (ed esteticamente più belle: qui potrebbe riemergere il Piscitelli che firmava la pagina del giornale di cui innanzi).

Sapete, poi, quel che è successo da qualche anno, che l’Europa stabilisce date entro le quali anche il costruire automobili non è una scelta libera, ma si devono fare dal 2035 motori non a combustione. Ci siamo buttati col pensiero a comprare automobili con motori elettrici. Ma chi potrà fornire l’elettricità alla quale attaccare la spina per caricare le batterie dei nuovi motori? Per il petrolio ci siano invaghiti di fornitori stranieri (anche a San Maro dei Cavoti fu scavato qualche pozzo di petrolio), talvolta di paesi non proprio pacifici. Per l’elettricità, l’Italia abbandonò tutta la produzione idroelettrica per la quale aveva un prestigioso compendio tecnico-organizzativo. Poi ci si misero i radicali col referendum (che riuscì in bellezza) contro l’utilizzo di centrali nucleari già attive per le quali l’Italia aveva competenze riconosciute.

Ora che ci tocca aumentare la produzione di energia elettrica per abbandonare, progressivamente, le fonti di provenienza geologica (petrolio e gas) e per fronteggiare le nuove, crescenti richieste, nel comprensorio di una città che il vento ce l’ha nel nome e che vede installare ogni giorno generatori elettrici funzionanti solo grazie a grandi pale azionate dal vento, cercano le luci della ribalta e l’approvazione popolare personaggi che chiudono gli occhi per non vedere qual è la realtà.

Bene ha fatto l’infaticabile Lia La Motta, in qualità di presidente provinciale dell’Automobil Club Italiano, a mettere attorno a un tavolo amministratori e operatori economici, nonché esponenti delle istituzioni della Repubblica, per discutere e far conoscere la complessiva problematica che gira attorno alla sostituzione del parco automobilistico circolante per sostituirlo con veicoli che, al posto di benzina e gas, dovranno utilizzare marchingegni elettrici. Per far girare i motori c’è anche l’idrogeno, abbondantissimo in natura, ma per il momento molto costoso per la “confezione” in infrastrutture di esercizio.

Anch’io ho mescolato sacro e profano, ricordando Giovanni Paolo II sensibile all’efficienza del vento beneventano (alcuni dicono anche della falanghina). Ma chiamare in causa Padre Pio per ostacolare il montaggio di torri eoliche nel territorio di Pietrelcina e Pesco Sannita significa, letteralmente, offendere quest’uomo la cui impresa più miracolosa è stata la creazione della Casa Sollievo della Sofferenza. Qualcuno direbbe un “casermone” nella campagna di San Giovanni Rotondi, a pochi passi dall’antico convento. Accanto al quale, poi, altri ci hanno fatto la sontuosa basilica firmata da Renzo Piano e aperta al culto nel 2004.

Partecipando (mai verbo fu più abusato) oggi e domani è possibile indirizzare la costruzione di nuovi impianti progettando vie di comunicazione, ma anche verde attrezzato, officine di manutenzione, servizi sussidiari. Amministratori e comunità avrebbero tutto da guadagnare da un atteggiamento collaborativo (oserei dire cooperativo). A proposito poi del numero di torri, nel convegno di San Marco dei Cavoti è stato detto che, elevandosi in altezza e in rendimento, il numero delle torri diminuirà.

La favola dispettosa non ha dato frutti. Se non quello di obbligarci a prendere atto della realtà. Alcune migliaia di addetti, competenze di alto valore, padronanza di tecnologie, funzionalità senza pause oltre ai pagamenti piuttosto allettanti ai proprietari dei suoli: questi ed altri sono veramente cose da snobbare? O da buttare?

MARIO PEDICINI