Com'è cambiata la percezione della musica Società
Prima di entrare nel vivo del primo mio articolo, mi preme spiegare ai lettori di Realtà Sannita il motivo per cui mi ritrovo a scrivere qui le mie motivazioni. Sono una musicista e cantante e nella mia esperienza di docente di musica e canto ho potuto osservare e riscontrare nei giovani dediti alla musica tante peculiarità e problematiche. La mia forte necessità di palesare artisticamente il mio sentire va di pari passo con la necessità di trasferire alle nuove generazioni non solo il mio amore per la musica e il canto, ma anche le mie competenze musicali che sono in continuo divenire.
Perché allora scrivere su un giornale, dal momento che trasmetto già da anni la mia passione ai più giovani? Credo che per poter aiutare i più giovani si debba partire dagli adulti che collaborano alla loro crescita a 360 gradi. Il mio intento non è parlare di eventi o artisti, ma di sviscerare e porre l’attenzione su argomenti propri della musica, di cui difficilmente si parla.
La mia esperienza di docente, ma anche di esecutore musicale, mi consente di raccogliere il sentire degli studenti e delle persone in genere e quindi di constatare che alcune frequenze proprie dei suoni sono quasi sparite del tutto dall’orecchio di alcuni di loro. Per questo, per ogni articolo, intervisterò un esperto dell’argomento.
In questo primo percorso di giornalista musicale ho avuto il piacere di intervistare Loretta Martinez, una tra le più conosciute vocal coach d’Italia, oltre che essere una cantante di comprovata esperienza. Laureata in Fisica, in canto Jazz ed in Didattica Vocale è stata giurata e vocal coach della trasmissione Amici di Maria De Filippi nel 2009 e 2010. E’ ideatrice e unica concessionaria del brevetto europeo del metodo vocale VMS, è docente all’Università Federico II di Napoli nel Master Post Laurea in Fisiopatologia della voce cantata e recitata. Autrice del libro IL METODO VMS edito da Volonté Editori, è coautrice con il prof. Ugo Cesari del libro IGIENE VOCALE edito da Volonté Editori. Collabora da anni con Takagi e Ketra, Sony Music ed Universal Music.
Nell’intervista Loretta ci ha svelato come è cambiata la percezione della musica.
Loretta, come è cambiata la percezione dell’ascolto della musica? La musica è sempre stata diversa di generazione in generazione oppure è cambiata solo in questi ultimi anni?
L’ascolto della musica in realtà è cambiato radicalmente all’inizio del ventesimo secolo. L’invenzione del grammofono prima e della registrazione su vinile ha cambiato per sempre la fruizione musicale che prima è sempre stata unicamente esperibile dal vivo. Tutte le società umane hanno espresso musica e danza live, legandole anche ad esperienze religiose, politiche e culturali. La registrazione ha cambiato proprio la percezione di performance originale poiché, mentre le prime registrazioni erano nate per cercare di fissare nel tempo una specifica esecuzione per poterla riprodurre in un secondo momento, ben presto si è arrivati a concepire la registrazione come fonte originale e le riproduzioni live come “copie” della registrazione.
La registrazione quindi è diventata più importante della performance?
Sì, anche se gradualmente. L’ascolto con i primi strumenti di registrazione e riproduzione era ancora immaturo negli anni ‘20, ‘30 e ‘40 del 1900, e le esecuzioni live erano ben più soddisfacenti dal punto di vista della qualità audio; questo ha lanciato nei decenni successivi la sfida alle tecnologie Hi-fi (da high fidelity). L’alta fedeltà di registrazione e riproduzione, appunto, è stata la seconda grande rivoluzione audio, che ha visto l’ascolto passare sempre più da esperienza collettiva ad individuale. Ovviamente i grandi concerti esistono anche oggi e sono sempre delle bellissime esperienze collettive, però, in generale, si ascolta molta più musica da soli, cosa che prima era molto più difficile. Ne parlano in maniera più dettagliata e interessante molti libri, fra cui “Come funziona la musica” di David Byrne, di cui ne consiglio la lettura.
Per quanto riguarda i tempi moderni cosa è cambiato?
Molte cose sono cambiate da quando ero giovane e usavo il mio walkman con le cuffiette. La musica si sentiva più alla radio e si registrava su musicassette, solo in seguito è avvenuta la progressiva digitalizzazione della musica, dai cd fino ai soli file mp3.
Visto che siamo in argomento, possiamo fare una piccola digressione e spiegare ai nostri lettori cosa significa digitalizzare? Come si riconosce cosa è analogico da cosa è digitale?
E’analogico tutto ciò che è suonato e registrato tramite microfoni che tramutano il segnale audio in elettricità, poiché in questo modo non c’è perdita di informazione; gli altoparlanti riproducono in maniera fedele quanto è stato registrato. Possiamo dire, in maniera un po’ riduttiva, ma sostanzialmente corretta, che digitalizzare significa fare un disegno approssimato delle frequenze attraverso i due gradini del linguaggio binario: 0 e 1. Essendo accurata, ma pur sempre un’approssimazione, la qualità sarà comunque ridotta. Il vantaggio del digitale ovviamente è la sua comodità sotto vari aspetti. I moderni computer possono ospitare milioni di mp3 (il formato audio ridotto rispetto al WAV audio integro) e possono operare in streaming e online con molta più velocità e facilità. Lo stesso Spotify non sarebbe stato possibile senza la tecnologia digitale. E questo ci porta proprio alla domanda precedente.
Cosa ha cambiato la musica in streaming?
A prescindere dalla questione economica, del riconoscimento del diritto d’autore che non è argomento di questa discussione, anche con questa ultima rivoluzione è sempre la fruizione della musica ad essere cambiata. Non tanto i file in sé che sono gli stessi, ma è cambiata molto la percezione degli ascoltatori per due ordini di motivi. Il primo è il totale accesso al catalogo mondiale di musica, che detto così sembrerebbe solo una cosa positiva, ma in realtà l’eccesso di disponibilità in qualche modo limita le priorità. Ai miei tempi i pochi dischi o cassette che avevamo a disposizione dettavano tempi di ascolto più lenti e il numero di ascolti delle stesse tracce era molto più elevato e da questo abbiamo appreso molto a livello musicale.
Il continuo passare da una traccia all’altra senza il tempo di costruirsi un giudizio musicale, rende tutto meno importante. Purtroppo sarà preso dai lettori come il solito parere generazionale (da boomer), ma spesso quando devi attendere o guadagnarti qualcosa ne apprezzi di più il valore, e questo si è abbattuto come una scure anche nelle performance dal vivo che chiaramente hanno abbassato il loro livello.
Le persone suonano o cantano peggio?
In parte mediamente sì, ma la mia opinione è che ci sia stato un processo di allontanamento del pubblico dalla performance, perché il confronto con la registrazione sempre più perfetta rende l’aspettativa dell’esibizione inarrivabile. Sono convinta che questo allontanamento del pubblico dalle esibizioni abbia portato a suonare meno, ad essere pagati meno e, di riflesso, ad aver ridotto la qualità. L’ascolto, invece, è cambiato perché pochi, soprattutto i giovani, che usano impianti audio di qualità mentre la maggior parte dei giovani ascolta musica su telefoni cellulari e piccole casse Bluetooth che riproducono in maniera molto parziale le frequenze. Infatti, in questo caso, le frequenze basse compromettono la capacità di riconosceiute da parte degli ascoltatori. Ogni epoca ha i suoi pro e contro, ma oggi è questa la sfida per rimanere al passo coi tempi: sostenere le difficoltà degli allievi e metterli in condizione di rientrare in armonia con la performance.
MAURA MINICOZZI