Guerra, pace e tecnologie Società

Chi vince una guerra? Chi ha l’esercito migliore o chi ha l’economia più solida? Non è una domanda peregrina: abbiamo tutti davanti agli occhi la situazione del conflitto tra Russia ed Ucraina. Quando, poco più di un anno fa, Putin lanciò il suo attacco contro il paese confinante, adducendo come scusa la volontà di liberare le regioni a maggioranza russa dell’Ucraina da quella che lui definisce una dittatura nazistoide, tutti pensavano che il paese caucasico avrebbe capitolato in poco tempo.

I più pessimisti arrivavano a sostenere (e sostengono ancora) che inviare armi all’Ucraina fosse solo un modo per procrastinare l’ineluttabile sconfitta. Invece gli ucraini non solo stanno resistendo da un anno alle preponderanti forze nemiche, ma hanno ottenuto, oltre alla solidarietà di tutto il mondo occidentale, anche alcune vittorie, costringendo i soldati russi a ripiegare più volte o impegnandoli in scontri ben più cruenti e duraturi di quanto si aspettavano.

Se l’Ucraina sta resistendo, non è certo grazie alla solidità della sua economia: la Russia infatti resta una delle otto maggiori potenze economiche globali, nonostante le sanzioni imposte al regime di Putin l’abbiano indebolita provocando una considerevole recessione. E non sono i capitali sequestrati agli oligarchi russi a fare la differenza in questo conflitto. La chiave della vittoria, ora come ora, è costituita dalla tecnologia. L’Ucraina sta resistendo perché i suoi chip sono migliori di quelli russi.

Non è la prima volta che la tecnologia si rivela fondamentale in un conflitto, tutt’altro. Sin dai tempi antichi, i paesi più avanzati dal punto di vista tecnologico hanno conquistato e colonizzato interi continenti più arretrati. Gli Egizi, i Romani, le potenze coloniali europee in America, per secoli hanno dominato contando sulla forza di armi più moderne rispetto a quelle nemiche. Alcuni storici sostengono che anche l’Unità d’Italia è stata raggiunta poiché i soldati borbonici erano armati ancora dei vecchi fucili ad avancarica, mentre le truppe piemontesi avevano in dotazione i più moderni fucili a ripetizione.

Il gap tecnologico è decisivo in tempo di guerra, come sta accadendo in Ucraina, ma è cruciale anche in tempo di pace. In questi giorni il Parlamento Europeo sta vivendo una situazione di stallo a causa dell’opposizione di alcuni paesi, l’Italia in primis, alla direttiva che vuole imporre il divieto di vendita di automobili a benzina e diesel a partire dal 2035. I più accesi oppositori a questa norma sono chiaramente gli stati produttori di automobili, che si troverebbero svantaggiati dalla direttiva e vedrebbero a rischio milioni di posti di lavoro nel settore automobilistico.

Le auto elettriche rappresentano il futuro, secondo i più autorevoli scienziati, ma per il momento sono troppo costose da produrre e quindi troppo care per gli acquirenti. Inoltre l’energia elettrica che le fa funzionare troppo spesso è prodotta mediante combustibili fossili, dunque la conversione all’elettrico non gioverebbe minimamente all’ambiente se prima non avviene un cambiamento radicale nel campo delle fonti di produzione di elettricità.

Terza obiezione, ora come ora le batterie per le auto elettriche sono prodotte quasi esclusivamente in Cina. Se l’Europa si convertisse all’elettrico, la sua dipendenza dalla Cina sarebbe quindi totale ed abbiamo già sperimentato, in occasione della crisi del gas russo, quanto costa dipendere da una potenza straniera in un settore vitale dell’economia.

Prima di gettare le auto a benzina e sostituirle con quelle elettriche, l’Europa dovrebbe perciò diventare autonoma per quel che riguarda la produzione di batterie per automobili. O così, oppure un domani, nel malaugurato caso in cui la Cina muovesse militarmente contro Taiwan, ci troveremmo costretti a scegliere tra sostenere le mire espansionistiche del dragone, oppure sanzionare la Cina e trovarci nell’impossibilità di reperire le batterie per le auto elettriche, che nel frattempo saranno diventate per noi indispensabili.

La tecnologia è dunque una moderna spada di Damocle sempre sospesa sulle nostre teste, in tempo di pace come in guerra.

CARLO DELASSO