I selfie, quando si possono fare e quando no Società

Il divieto di scattare selfie è costituzionalmente legittimo? Non è un caso approdato in un’aula di tribunale, almeno per ora, ma soltanto un dubbio che mi è sorto di recente. Perché negli ultimi tempi, a causa dell’irrefrenabile desiderio dei più giovani (e non solo) di fotografarsi in ogni luogo e in ogni situazione, non sono pochi coloro che hanno posto questo divieto, che ha causato finora solo malumori, ma nessuna contestazione presso un giudice. Poiché però, come disse Einstein, l’universo e la stupidità umana sono le uniche due cose che non conoscono limite, è meglio mettere le mani avanti e prepararsi a quest’eventualità.

Una legge che proibisce i selfie in questo momento non esiste. Ma i selfie, che fino a una decina d’anni fa avremmo chiamato semplicemente “autoscatti”, non sono altro che fotografie. Dunque, la logica vorrebbe che fossero consentiti ovunque sia consentito scattare foto e vietati in tutte quelle circostanze nelle quali non è permesso eseguire fotografie.

Il divieto di scattare foto può essere giustificato da diverse motivazioni: per ragioni di privacy, non è permesso scattare foto in casa d’altri senza il consenso del padrone di casa; per motivi di sicurezza è vietato scattare fotografie, salvo autorizzazione, in luoghi come caserme o basi militari; infine, molti musei impongono il divieto di scattare foto per evitare che i flash danneggino le opere esposte, o anche per tutelare il diritto d’autore. In caso di riproduzione di un’opera d’arte infatti, all’autore ancora in vita spettano le royalties, mentre se l’autore è morto da meno di 70 anni, sono gli eredi a vantare tale diritto. Solo la riproduzione di opere d’arte antiche è libera.

Ebbene, non vedo per quale motivo i selfie non dovrebbero sottostare alle medesime regole. Invece sembra che il selfie sia considerato una terra di nessuno. Quando si poteva cenare in compagnia, quanti erano soliti fotografarsi a tavola senza preoccuparsi di chiedere il permesso al padrone di casa? Possiamo ipotizzare in questo caso un consenso implicito, trattandosi di una cena tra amici o parenti.

La vera zona grigia del selfie risiede invece in tutti quei casi in cui più che la legge a dettare il divieto sarebbe il buon gusto. Posso citare a tal proposito gli studenti liceali che alcuni anni fa si fecero dei selfie durante una gita scolastica ad Auschwitz, davanti ai forni crematori. O i buontemponi che si scattano un selfie sul luogo di un incidente stradale (magari con i feriti ancora sul posto). Sono esempi non contemplati dalla legge, ma che ognuno dovrebbe riconoscere come inopportuni, se provvisto di buon senso o di rispetto per il prossimo.

Il selfie rientra dunque non nel campo del diritto cogente (ossia imposto da norme scritte), bensì in quello delle norme del vivere civile. Così come nessuna legge proibisce di raccontare barzellette sconce ad un funerale o di mettersi le dita nel naso a tavola, eppure tutti bene o male ci rendiamo conto che questi comportamenti sono scorretti. Allo stesso modo bisognerebbe osservare una sorta di galateo del selfie, che ci faccia capire, anche senza che nessuno ce lo imponga, quando è il caso di riporre il cellulare ed evitare di scattare foto non richieste.

Purtroppo però sembra che il desiderio di condividere un’immagine sia più forte del senso civico e del rispetto, per i vivi e per i morti.

CARLO DELASSO