Il caffè sospeso. Al carissimo Ignazio Iasiello Società

Quando, per l’ultima volta, mi sono specchiato nei tuoi bellissimi occhi blu, fissi sul soffitto di una stanza di ospedale, perché oramai vedevi solo ombre, ho dovuto accettare la disillusione di tutte le illusioni che continuamente mi creavo per esorcizzare l’evento temuto.

Inchiodato in un letto, pieno di fili e di monitor, hai detto “Ugo, non c’è la faccio più”.

Il cuore è salito in gola. Ho pensato: “se non rispondo subito si impressionerà ancora di più” ed ho detto la prima cosa che è venuta in mente, cercando di non incrinare la voce per l’emozione che mi pervadeva.

“Ignazio, che dici? Mica te la cavi così. Devi pagare il caffè a me ed a Tetta. L’ultima volta l’abbiamo offerto noi”.

Da lì, d’incanto è partito un dialogo fatto di ricordi della mamma, della sorella, dei nipoti, dei pronipoti, degli amici, dei figli degli amici, degli episodi del nostro magico ed indissolubile rapporto ultracinquantennale.

In un attimo ho compreso che forse era l’ultima volta che ci vedevamo, ma quelle parole mi hanno finalmente rasserenato, hanno placato la forte inquietudine che da mesi agitava giorni e notti.

Lo sai bene. Per sei stato, sei e sarai sempre molto, molto di più di un amico. Sei stato, sei e sarai il fratello che non capita per i dadi lanciati dalla natura, ma che ti scegli da adolescente e con cui hai attraversato giovinezza, età matura e l’ingresso in quella senile.

Continuamente si rincorrono e sovrappongono ricordi, immagini ed episodi, in un disordinato ordine, come un film sempre uguale e diverso.

E’ un panta rei incontrollato ed incontrollabile che dà calore, tenerezza e pian piano stempera il dolore per il tuo abbandono in dolce malinconia.

Rivedo due ragazzi nel garage intenti a montare e smontare testate, pistoni, carburatori, marmitte ad espansione ai loro motorini, per renderli più veloci e competitivi, anche se … non si poteva fare.

Rivedo due ragazzi in camera ad ascoltare l’album dei Pink Floyd “The dark side of the moon” con in mano la rivista musicale CIAO 2001. A strimpellare canzoni stonate e di sicuro insuccesso. Le nostre.

Rivedo due giovani studenti universitari alla conquista di Napoli e di un futuro incerto con l’entusiasmo e l’incoscienza tipica dell’età, condita da tanta, tanta, tanta allegria.

Rivedo le innumerevoli vacanze passate insieme, semplicemente perché eravamo sempre insieme. E la nostra amata montagna, che ci ha sempre affascinato ed unito ancora di più.

Sei entrato nella vita di mia moglie, ancor prima che mettessimo su famiglia, e poi di mia figlia come il sole, illuminandoci sempre.

Sei nella nostra casa. La bella libreria che hai disegnato e fatto realizzare è sempre lì di fronte a me. La guardo e penso che mi fai compagnia anche quando leggo un libro.

Insomma, sei parte indissolubile di me; la migliore.

Non ti ho mai, dico mai, sentito lamentarti (ne avevi milioni di motivi), parlare male di qualcuno, affetto da una bontà ed un altruismo cronici, che sfioravano quasi la patologia.

Insomma, sei il diamante puro che la mediocrità di una società che vive di apparenza ed accattonaggio non è riuscita a scalfire.

Mi fermo qui perché so già che, schivo e riservato come sei, ti infastidisci se uno parla di te, specialmente se bene, e non voglio litigare ora, non avendolo mai fatto per oltre cinquant’anni.

Lo sai, abbiamo un caffè … sospeso.

Lo prenderemo quando ti raggiungerò, ma credo che anche allora ti farò aspettare, perché dovrò farmi prima un po' di Purgatorio, non avendo imparato bene tutto quello che mi hai insegnato.

UGO CAMPESE